Riflessioni : giugno 2024

L'Avvento è come un orizzonte che si allarga Ermes Ronchiavvenire

riflessioni

fonte: https://blog.smariadelcengio.it/


 

30 06 2024

 XIII Domenica del tempo ordinario    - Anno B -

"Fanciulla, io ti dico: Àlzati!"

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Vangelo secondo Marco 5,  21-43

 


 

LA STANZA OSCURA

 

 
C’è una casa a Cafarnao, dove la morte ha messo il nido.
Una dimora importante, quella del capo della sinagoga, eppure impotente a garantire la vita di una bambina. Giairo ha preso il mantello ed è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, e Gesù interrompe ciò che sta facendo e si mette a camminare con lui. Sulle frontiere tra la vita e la morte. Stare con il dolore degli altri diventa uno dei gesti cristiani più rivoluzionari.
Perché il dolore, il dolore innocente? I figli di tanti Giairo muoiono in un’età in cui invece è d’obbligo fiorire, non soccombere. Eppure Gesù non dà una risposta, dà altro: il dolore non domanda spiegazioni, ma condivisione: “e andò con lui”.
“Non temere, soltanto continua ad aver fede”, quella che ti ha fatto uscire di casa in cerca di aiuto e di ascolto. Ma come è possibile non temere, non essere nella paura quando la morte si è portata via il mio sole? Il contrario della paura non è il coraggio, è la fede, atto umanissimo che tende alla vita! Che dice: ho bisogno, mi fido, mi affido. Sulla tua parola getterò le reti, anzi: nelle tue mani getto la vita!
Giunsero alla casa e vide gente che piangeva e gridava. Disse loro: “Perché piangete? Non è morta, ma dorme”. Coloro che noi chiamiamo ‘morti’ dormono a questa vita nostra, ma in realtà sono stati presi per mano e si sono alzati, come la bimba di Giairo.

Lo deridono. Con quella derisione con cui dicono anche a noi: ma tu credi alla resurrezione? Ti illudi, non c’è niente dopo la morte. Ma la fede assicura che Dio è dei vivi e non dei morti, che dire Dio è dire risurrezione.
Gesù cacciò tutti fuori di casa. Caccia via quelli che non credono che Dio inonda di vita anche le strade della morte.
Gesù prende con sé il padre e la madre. Li prende con sé perché il tempo dell’amore è infinitamente più lungo del tempo della vita. La vita finisce ma l’amore no.
E ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore. Ogni bambino, dice alla mamma: tu non morirai mai!
Ed entrò dove era la bambina.
E non è solo la stanzetta interna della casa, è la stanza più oscura del mondo, quella senza luce: l’esperienza della morte, dove anche Gesù entrerà, per essere come noi.
Poi la prende per mano. Dio non è un dito puntato, ma una mano che ti prende per mano. E mostra che bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle rialzare. Toccare le loro lacrime.
E le disse: “Talità kum. Bambina alzati”. Tocca a te farlo: rimettiti in piedi, sulle tue gambe, con le tue risorse.
Qualunque sia il dolore che portiamo dentro, qualunque sia la morte che ci assedia, il Signore ripete: alzati!
E subito la bambina si alzò e camminava. Restituita all’abbraccio dei suoi, a una vita incamminata e verticale. Là dove ci siamo fermati, Dio continua a farci ripartire.
E ripete su ogni essere la benedizione delle antiche parole: Talità kum, giovane vita, alzati, rivivi, risplendi.
E aggiunge: datele da mangiare, nutrite di sogni, di carezze e di fiducia il suo rinato cuore bambino.
E ci rialzerà tutti, trascinandoci su, in alto, dentro la sua risurrezione.

padre Ermes Ronchi

 

 

Ascolta il canto :

cuffia1 Io ti esalterò
Fabio Baggio

cuffia1 Talità kum
Rinnovamento nello Spirito

 cuffia1  La tua veste
Nico Battaglia

cuffia1 O Signore,
guardami
Rinnovamento
nello Spirito

 

Vignetta  della Domenica

 

 

 

 


23 06 2024

 XII Domenica del tempo ordinario    - Anno B -

"Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?"

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Vangelo secondo Marco 4,  35-41

 


 

UN GRANELLO DI QUIETE

 

 
Fede è perseverare nella burrasca. E dopo che ha fatto tutto ciò che poteva al cristiano si apre lo spazio di un di più, un qualcosa che Lui solo ha, una pace sul mare, il miracolo imprevisto, il vento che tace, uno scintillio di fiducia negli altri.
 
La nostra vita è come il mare di Galilea, a volte calmo e a volte in tempesta, ma le nostre instabili e piccole barche sono state costruite non per restare ancorate in porto, ma per prendere il largo.
Siamo tutti naviganti, non possiamo fare a meno di attraversare il lago.
“Passiamo all’altra riva” dice Gesù, e i discepoli accolgono il suo invito e si mettono in barca: e lo presero con sé, così com’era.
Gesù è talmente stanco che nella traversata si addormenta.
Improvvisa sul lago si scatena la tempesta. E Gesù dorme:, affidandosi ai suoi ragazzi, loro sì esperti di lago.
“Non ti importa che moriamo?”
La risposta, senza parole, è raccontata dai gesti “minacciò il vento, parlò al mare, che assicurano a ciascuno: mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante. Mi importano i passeri del cielo e tu vali più di molti passeri, mi importano i gigli del campo e tu sei più bello di loro. Tu mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel cuore.
E sono qui.
A farmi argine e confine alla tua paura. Sono qui nel riflesso più profondo delle tue lacrime.
La fede non è una assicurazione contro le burrasche della vita; le tempeste non si evitano e non si fuggono, si attraversano.
Perché avete così tanta paura?
Dio non è altrove e non dorme. È già qui, sta nelle braccia degli uomini, forti sui remi; sta nella presa sicura del timoniere; è nelle mani che svuotano l’acqua che allaga la barca; negli occhi che scrutano la riva, nell’ansia che anticipa la luce dell’aurora.
Il Signore salva attraverso persone (R. Guardini).
Dio è presente, ma a modo suo; vuole salvarmi, ma lo fa chiedendomi di mettere in campo tutte le mie capacità, tutta la forza del cuore e dell’intelligenza.
I discepoli vogliono un Dio che spazzi via le tempeste, e subito!
E invece Dio si fida di loro e li accompagna nel mezzo della burrasca. Non agisce al posto mio, ma insieme a me; non mi esenta dalla traversata, ma mi accompagna nell’oscurità. Non mi custodisce dalla paura, ma nella paura. Così come non ha salvato Gesù dalla croce, ma nella croce.
Perché avete paura? Non avete ancora fede?
I discepoli hanno fede sì, ma nel Dio che risolve i problemi, che tappa i buchi della nostra fragilità, lui invece scava pozzi di coraggio e dignità.
Non avete fede? Credere nel miracolo non è vera fede; troppo facile, troppo comodo. Quanta gente ha più fede nei miracoli che in Dio! “No, credere a Pasqua non è vera fede. Troppo bello sei a Pasqua. Fede vera è al venerdì santo....” (D. M. Turoldo).
Fede è perseverare nella burrasca.
E dopo che ha fatto tutto ciò che poteva al cristiano si apre lo spazio di un di più, un qualcosa che Lui solo ha, una pace sul mare, il miracolo imprevisto, il vento che tace, lo scintillio della fiducia negli altri.
Il di più di Dio, che non sta in riva al lago ad osservare, ma è presente nel buio, come granello di luce nella notte, granello di quiete, di fiducia, di bonaccia.
Che inonda di pace perfino le nostre tempeste.

padre Ermes Ronchi

 

 

Ascolta il canto :

cuffia1 Rendete grazie
Rinnovamento nello Spirito

cuffia1 Nelle mani tue
Gen Verde

 cuffia1  Avrai cura di noi
Anna Benedetti - Gianluca Anselmi
SPG Modena

cuffia1 Stai con me
Rinnovamento
nello Spirito

 

Vignetta  della Domenica

 

 

 

 


16 06 2024

 XI Domenica del tempo ordinario    - Anno B -

"È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell'orto."

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa..

Vangelo secondo Marco 4, 26-34

 


 

NELLA NATURA DELLA NATURA

 

Quante volte non troviamo le parole adatte per dire Dio!
E Gesù ci risponde con le parabole.
Lo fa con parole laiche, di casa, di orto, di lago, di strada, per raccontarci storie di vita.
Il vangelo di Marco riassume il suo insegnamento con immagini di contadini che si affaticano nell’arte di far nascere, fiorire, fruttificare.
Il contadino nel vangelo è l’anello mancante tra l’uomo e Dio, dove le parabole non sono solo semplici pretesti per insegnare teologia e morale.
Un albero, le foglioline del fico, il granello di senape diventano una continua rivelazione del divino (Laudato si’), una sillaba del suo messaggio.
Le cose del mondo non sono sante perché ricevono l’acqua benedetta, ma sono degne di riceverla perché già benedette, santificate, e noi camminiamo in mezzo a loro come dentro un santuario.
Ezechiele aveva parlato della tenerezza di un Dio giardiniere che pianta un cedro del Libano. Gesù va oltre: parla di un semino di senape con una novità tutta sua: sceglie una pianta mai nominata nel Primo Testamento, nonostante fosse di uso comune.
Gesù sceglie l’economia della piccolezza: mette la senape al posto del cedro del Libano; l'orto al posto del monte;
parlerà di Dio con l’immagine di una chioccia con i suoi pulcini: è il linguaggio teologico portato al registro più umile, a sovvertire le gerarchie.
Gli ascoltatori di Gesù saranno rimasti sconvolti all’idea che il Regno di Dio ha inizi così piccoli, ma Gesù si concentra sulla crescita dal minuscolo al grande, dai più piccoli germogli, alla maturazione in pienezza.
Le sue parole contengono anche un appello alla meraviglia: il Regno diventa un mistero davanti al quale stupirsi.
Prendere sul serio l’economia della piccolezza ci fa guardare il mondo in un altro modo. Ci fa cercare i re di domani tra gli scartati di oggi, ci fa prendere sul serio i giovani e i bambini, e trovare meriti là dove l’economia della grandezza vede solo demeriti.
Il vangelo della terra di Gesù sovverte le norme, perché le leggi che reggono il venire del Regno di Dio e quelle che alimentano la vita naturale sono in fondo le stesse.
Spirito e realtà si abbracciano.
​Il terreno produce da sé, per energia e armonia proprie: è nella natura della natura essere dono e crescita. È nella natura di Dio essere eccedenza gratuita. E anche in quella dell’uomo.
​Dio agisce in modo positivo, fiducioso, solare; e non per sottrazione, ma sempre per addizione, per aggiunta e incremento, con incrollabile fiducia nei germogli.
Dalle sue parabole sboccia una visione profetica del mondo: la nostra storia è tutto un seminare, germinare, spuntare, accestire, maturare: tutto è fiducia incamminata.


padre Ermes Ronchi

 

 

Ascolta il canto :

cuffia1 Come è bello dar lode al Signor
Rinnovamento nello Spirito

cuffia1 Il Regno dei cieli
da “Il Messia” di Daniele Ricci

 cuffia1  Il Regno di Dio
Marco Frisina

cuffia1 Quanta vita
Sunlight Project - ft. Gen Verde

 

Vignetta  della Domenica

 

 

 

 


09 06 2024

 X Domenica del tempo ordinario    - Anno B -

"Satana è finito."

In quel tempo, Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni».
Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa.
In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

Vangelo secondo Marco 3, 20-35

 


 

Molta folla, molta solitudine

 

Dove passa lui fiorisce un sogno di maternità, sorellanza e fraternità nel quale ci invita a entrare. Un sogno che forse abbiamo spezzato mille volte, ma di cui non ci è concesso stancarci.

Da sud, arriva per il giovane rabbi una commissione d’inchiesta, con i primi teologi dell’istituzione religiosa pronti ad accusarlo.

Dal nord scendono invece i suoi, per riportarselo a casa.

Sembra una manovra a tenaglia contro quel maestro fuori legge.

Non s’è mai visto in Israele un rabbino che cammina sempre, sempre in giro, con la strada come casa e aula scolastica, seguito da una carovana colorata di uomini e donne.

I dottori della legge arrivano a Cafarnao da Sud e da Ovest, per metterlo in riga, lui che ha fatto di dodici ragazzi il suo esercito, di una parola che guarisce, la sua arma. E sentenziano che Gesù è figlio del diavolo, marchiato di scomunica.

Eppure la pedagogia del maestro incanta sempre: invece di offendersi, come avrei fatto io, dice Marco “ ma egli li chiamò”, chiama vicino quelli che l’hanno giudicato da lontano e parla con loro. Gesù ha dei nemici, ma non è nemico di nessuno. Lui è l’amico della vita.

Sua madre e i suoi fratelli, da fuori mandarono a chiamarlo. Il vangelo di Marco, concreto e asciutto, ci rimette con i piedi per terra, dopo le ultime grandi feste che ci hanno fatto volare alto.

Si riparte dalla casa, dal basso, dai problemi: il Vangelo non nasconde che durante il suo ministero pubblico le relazioni di Gesù con la madre e la famiglia siano segnate da contrasti e distanza.

E alla loro chiamata Gesù risponde, ma solo a quelli seduti attorno a lui: Chi sono i miei fratelli e le mie sorelle? Quelli la fuori? Che si vergognano di me? Del matto di casa?

Particolare drammatico, sembra una canzonatura: c’è tua madre! E io credo che qui Marco riferisca uno dei momenti più dolorosi della vita di Maria, che si sente dire dal figlio: chi è mia madre?

Un disconoscimento. L’unica volta che Maria appare nel vangelo di Marco è qui (e non ne riporta il nome de non in una menzione indiretta nelle parole dei nazareni: non è costui il figlio di Maria?), ed è l’immagine di una madre e di un figlio distanti, ognuno immerso nel proprio dolore. Anche Maria, come noi, ha dovuto cercare e faticare, affrontare dubbi e parole dure.

Chi fa la volontà del Padre, questi è per me madre, sorella, fratello.

La volontà del Padre è semplice: vuole che sorga un mondo fatto di coraggio, libertà e amore, di fratelli tutti.

Assediato, Gesù non si arrende, si oppone a ciò che è mediocre! Non si ferma, non torna indietro.

Lo immagino: molta folla e molta solitudine.



padre Ermes Ronchi

 

 

Ascolta il canto :

cuffia1 Cantano i cieli
Rinnovamento nello Spirito

cuffia1 Abbà Padre (Ascoltami)
Rinnovamento nello Spirito

 cuffia1  Vergine del silenzio
Domenico Machetta

cuffia1 Start Here and Now (attiva i sottotitoli in italiano)
Gen Verde

 

Vignetta  della Domenica

 

 

 

 


02 06 2024

 Corpus Domini    - Anno B -

"Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue."

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Vangelo secondo Marco 14, 12-16  22-26

 


 

Puro silenzio

 

Oggi, Corpus Domini, non è la festa dei tabernacoli aperti o degli ostensori dorati da venerare.

Che cosa celebriamo? Cristo che si dona? Neppure questo è sufficiente. La festa di oggi è ancora un passo avanti.

Io che faccio la comunione? Non basta. E’ Lui che viene a fare comunione con noi. E’ Lui in cammino, Lui che percorre i cieli, Lui felice di vedermi, Lui che non chiede agli apostoli e a me di venerare quel Pane, ma dice molto di più: ‘io voglio stare nelle tue mani come dono, e nella tua bocca come pane, sangue, cellula, pensiero di te. Tua vita’. Vuole perdersi dentro noi come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo.

La prima parola è: prendete. Gesù parla sempre con verbi poveri, semplici, diretti: prendete, ascoltate, venite, andate, partite; “corpo e sangue”. Ignote quelle mezze parole ambigue che permettono ai potenti o ai furbi di consolidare il loro predominio.

Gesù è così radicalmente uomo, anche nel linguaggio, da raggiungere Dio e da comunicarlo attraverso le radici, attraverso gesti comuni a tutti.

Prendete. Qui è il miracolo, il batticuore, lo scopo: per essere trasformati. Quello che sconvolge, è ciò che accade nel discepolo più ancora di ciò che accade nel pane. Allora mangiare e bere Cristo è molto più che fare la comunione, è “farci comunione”. Che Leone Magno sintetizza così: prendere il corpo e il sangue di Cristo tende a trasformarci in ciò che riceviamo. Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. A che serve un Dio , come pane chiuso nel tabernacolo, da esporre di tanto in tanto alla venerazione e all’incenso?  

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue “ha” la vita eterna. Adesso! Non “avrà”, come una specie di futuro tfr. La vita eterna è già qui, libera e autentica, e fa cose che meritano di non morire, con Gesù che dice: prendete il mio corpo, tutta la mia umanità, il mio modo di piangere e ridere, di sedermi alla tavola di Zaccheo, di Levi, e a casa tua.

Ma noi di cosa nutriamo anima e pensieri? Di generosità, bellezza, profondità? O ci saziamo di intolleranze, miopie dello spirito, paure di tutto? Se accogliamo pensieri degradati, ci faranno come loro; se accogliamo pensieri di vangelo, ci faranno creature di bellezza.

Alla Messa per noi un piccolo pane bianco che non ha sapore, che è puro e profondissimo silenzio. Dono lieve come un’ala. Ma accade qualcosa che i padri orientali chiamano deificazione (theosis), parola che fa tremare. Un pezzo di Dio in me perché io diventi un pezzetto di Dio nel mondo.

Finita la religione dei riti e degli obblighi, ecco la religione del corpo a corpo con Dio, la religione del tu per tu con Lui, che prima che io dica: “ho fame”, mi dice: “Prendete e mangiate”.

Mi ha cercato, mi ha atteso e si dona, e io posso solo accoglierlo e ringraziare.



padre Ermes Ronchi

 

 

Ascolta il canto :

cuffia1 Pane di vita nuova
Marco Frisina

cuffia1 Seme dell’eternità
Gen Rosso - Gen Verde

 cuffia1  Sei per noi cibo d’eternità
Francesco Buttazzo

cuffia1 Spezziamo il pane
Rinnovamento nello Spirito

 

Vignetta  della Domenica

 

 

 

 

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