Giornata Poveri

 

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

VII GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
19 novembre 2023

 

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7)


1. La Giornata Mondiale dei Poveri, segno fecondo della misericordia del Padre, giunge per la settima volta a sostenere il cammino delle nostre comunità. È un appuntamento che progressivamente la Chiesa sta radicando nella sua pastorale, per scoprire ogni volta di più il contenuto centrale del Vangelo. Ogni giorno siamo impegnati nell’accoglienza dei poveri, eppure non basta. Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte. Per questo, nella domenica che precede la festa di Gesù Cristo Re dell’Universo, ci ritroviamo intorno alla sua Mensa per ricevere nuovamente da Lui il dono e l’impegno di vivere la povertà e di servire i poveri.

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7). Questa Parola ci aiuta a cogliere l’essenza della nostra testimonianza. Soffermarci sul Libro di Tobia, un testo poco conosciuto dell’Antico Testamento, avvincente e ricco di sapienza, ci permetterà di entrare meglio nel contenuto che l’autore sacro desidera trasmettere. Davanti a noi si apre una scena di vita familiare: un padre, Tobi, saluta il figlio, Tobia, che sta per intraprendere un lungo viaggio. Il vecchio Tobi teme di non poter più rivedere il figlio e per questo gli lascia il suo “testamento spirituale”. Lui è stato un deportato a Ninive ed ora è cieco, dunque doppiamente povero, ma ha sempre avuto una certezza, espressa dal nome che porta: “il Signore è stato il mio bene”. Quest’uomo, che ha confidato sempre nel Signore, da buon padre desidera lasciare al figlio non tanto qualche bene materiale, ma la testimonianza del cammino da seguire nella vita, perciò gli dice: «Ogni giorno, figlio, ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandamenti. Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell’ingiustizia» (4,5).

2. Come si può osservare subito, il ricordo che il vecchio Tobi chiede al figlio non si limita a un semplice atto della memoria o a una preghiera da rivolgere a Dio. Egli fa riferimento a gesti concreti che consistono nel compiere opere buone e nel vivere con giustizia. Questa esortazione si specifica ancora di più: «A tutti quelli che praticano la giustizia fa’ elemosina con i tuoi beni e, nel fare elemosina, il tuo occhio non abbia rimpianti» (4,7).

Stupiscono non poco le parole di questo vecchio saggio. Non dimentichiamo, infatti, che Tobi ha perso la vista proprio dopo aver compiuto un atto di misericordia. Come egli stesso racconta, la sua vita fin da giovane era dedicata a opere di carità: «Ai miei fratelli e ai miei compatrioti, che erano stati condotti con me in prigionia a Ninive, nel paese degli Assiri, facevo molte elemosine. […] Davo il pane agli affamati, gli abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno dei miei connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, io lo seppellivo» (1,3.17).

Per questa sua testimonianza di carità, il re lo aveva privato di tutti i suoi beni rendendolo completamente povero. Il Signore però aveva ancora bisogno di lui; ripreso il suo posto di amministratore, non ebbe timore di continuare nel suo stile di vita. Ascoltiamo il suo racconto, che parla anche a noi oggi: «Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola:la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi al figlio Tobia: “Figlio mio, va’, e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Io resto ad aspettare che tu ritorni, figlio mio”» (2,1-2). Come sarebbe significativo se, nella Giornata dei Poveri, questa preoccupazione di Tobi fosse anche la nostra! Invitare a condividere il pranzo domenicale, dopo aver condiviso la Mensa eucaristica. L’Eucaristia celebrata diventerebbe realmente criterio di comunione. D’altronde, se intorno all’altare del Signore siamo consapevoli di essere tutti fratelli e sorelle, quanto più diventerebbe visibile questa fraternità condividendo il pasto festivo con chi è privo del necessario!

Tobia fece come gli aveva detto il padre, ma tornò con la notizia che un povero era stato ucciso e lasciato in mezzo alla piazza. Senza esitare, il vecchio Tobi si alzò da tavola e andò a seppellire quell’uomo. Tornato a casa stanco, si addormentò nel cortile; gli cadde sugli occhi dello sterco di uccelli e divenne cieco (cfr 2,1-10). Ironia della sorte: fai un gesto di carità e ti capita una disgrazia! Ci viene da pensare così; ma la fede ci insegna ad andare più in profondità. La cecità di Tobi diventerà la sua forza per riconoscere ancora meglio tante forme di povertà da cui era circondato. E il Signore provvederà a suo tempo a restituire al vecchio padre la vista e la gioia di rivedere il figlio Tobia. Quando venne quel giorno, «Tobi gli si buttò al collo e pianse, dicendo: “Ti vedo, figlio, luce dei miei occhi!”.Ed esclamò: “Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome! Benedetti tutti i suoi angeli santi! Sia il suo santo nome su di noi e siano benedetti i suoi angeli per tutti i secoli. Perché egli mi ha colpito, ma ora io contemplo mio figlio Tobia”» (11,13-14).

3. Possiamo chiederci: da dove Tobi attinge il coraggio e la forza interiore che gli permettono di servire Dio in mezzo a un popolo pagano e di amare a tal punto il prossimo a rischio della sua stessa vita? Siamo davanti a un esempio straordinario: Tobi è uno sposo fedele e un padre premuroso; è stato deportato lontano dalla sua terra e soffre ingiustamente; è perseguitato dal re e dai vicini di casa… Nonostante sia di animo così buono è messo alla prova. Come spesso ci insegna la sacra Scrittura, Dio non risparmia le prove a quanti operano il bene. Come mai? Non lo fa per umiliarci, ma per rendere salda la nostra fede in Lui.

Tobi, nel momento della prova, scopre la propria povertà, che lo rende capace di riconoscere i poveri. È fedele alla Legge di Dio e osserva i comandamenti, ma questo a lui non basta. L’attenzione fattiva verso i poveri gli è possibile perché ha sperimentato la povertà sulla propria pelle. Pertanto, le parole che rivolge al figlio Tobia sono la sua genuina eredità: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero» (4,7). Insomma, quando siamo davanti a un povero non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù. E notiamo bene quell’espressione «da ogni povero». Ognuno è nostro prossimo. Non importa il colore della pelle, la condizione sociale, la provenienza… Se sono povero, posso riconoscere chi è veramente il fratello che ha bisogno di me. Siamo chiamati a incontrare ogni povero e ogni tipo di povertà, scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere.

4. Viviamo un momento storico che non favorisce l’attenzione verso i più poveri. Il volume del richiamo al benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà. Si tende a trascurare tutto ciò che non rientra nei modelli di vita destinati soprattutto alle generazioni più giovani, che sono le più fragili davanti al cambiamento culturale in corso. Si mette tra parentesi ciò che è spiacevole e provoca sofferenza, mentre si esaltano le qualità fisiche come se fossero la meta principale da raggiungere. La realtà virtuale prende il sopravvento sulla vita reale e avviene sempre più facilmente che si confondano i due mondi. I poveri diventano immagini che possono commuovere per qualche istante, ma quando si incontrano in carne e ossa per la strada allora subentrano il fastidio e l’emarginazione. La fretta, quotidiana compagna di vita, impedisce di fermarsi, di soccorrere e prendersi cura dell’altro. La parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37) non è un racconto del passato, interpella il presente di ognuno di noi. Delegare ad altri è facile; offrire del denaro perché altri facciano la carità è un gesto generoso; coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano.

5. Ringraziamo il Signore perché ci sono tanti uomini e donne che vivono la dedizione ai poveri e agli esclusi e la condivisione con loro; persone di ogni età e condizione sociale che praticano l’accoglienza e si impegnano accanto a coloro che si trovano in situazioni di emarginazione e sofferenza. Non sono superuomini, ma “vicini di casa” che ogni giorno incontriamo e che nel silenzio si fanno poveri con i poveri. Non si limitano a dare qualcosa: ascoltano, dialogano, cercano di capire la situazione e le sue cause, per dare consigli adeguati e giusti riferimenti. Sono attenti al bisogno materiale e anche a quello spirituale, alla promozione integrale della persona. Il Regno di Dio si rende presente e visibile in questo servizio generoso e gratuito; è realmente come il seme caduto nel terreno buono della vita di queste persone che porta il suo frutto (cfr Lc 8,4-15). La gratitudine nei confronti di tanti volontari chiede di farsi preghiera perché la loro testimonianza possa essere feconda.

6. Nel 60° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, è urgente riprendere le parole del santo Papa Giovanni XXIII quando scriveva: «Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; e ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà» (n. 6).

Quanto lavoro abbiamo ancora davanti a noi perché queste parole diventino realtà, anche attraverso un serio ed efficace impegno politico e legislativo! Malgrado i limiti e talvolta le inadempienze della politica nel vedere e servire il bene comune, possa svilupparsi la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nel valore dell’impegno volontario di dedizione ai poveri. Si tratta certo di stimolare e fare pressione perché le pubbliche istituzioni compiano bene il loro dovere; ma non giova rimanere passivi in attesa di ricevere tutto “dall’alto”: chi vive in condizione di povertà va anche coinvolto e accompagnato in un percorso di cambiamento e di responsabilità.

7. Ancora una volta, purtroppo, dobbiamo constatare nuove forme di povertà che si assommano a quelle già descritte in precedenza. Penso in modo particolare alle popolazioni che vivono in luoghi di guerra, specialmente ai bambini privati di un presente sereno e di un futuro dignitoso. Nessuno potrà mai abituarsi a questa situazione; manteniamo vivo ogni tentativo perché la pace si affermi come dono del Signore Risorto e frutto dell’impegno per la giustizia e il dialogo.

Non posso dimenticare le speculazioni che, in vari settori, portano a un drammatico aumento dei costi che rende moltissime famiglie ancora più indigenti. I salari si esauriscono rapidamente costringendo a privazioni che attentano alla dignità di ogni persona. Se in una famiglia si deve scegliere tra il cibo per nutrirsi e le medicine per curarsi, allora deve farsi sentire la voce di chi richiama al diritto di entrambi i beni, in nome della dignità della persona umana.

Come non rilevare, inoltre, il disordine etico che segna il mondo del lavoro? Il trattamento disumano riservato a tanti lavoratori e lavoratrici; la non commisurata retribuzione per il lavoro svolto; la piaga della precarietà; le troppe vittime di incidenti, spesso a causa della mentalità che preferisce il profitto immediato a scapito della sicurezza… Tornano alla mente le parole di san Giovanni Paolo II: «Primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso. […] L’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l’uomo”, e non l’uomo “per il lavoro”» (Enc. Laborem exercens, 6).

8. Questo elenco, già di per sé drammatico, dà conto in modo solo parziale delle situazioni di povertà che fanno parte del nostro quotidiano. Non posso tralasciare, in particolare, una forma di disagio che appare ogni giorno più evidente e che tocca il mondo giovanile. Quante vite frustrate e persino suicidi di giovani, illusi da una cultura che li porta a sentirsi “inconcludenti” e “falliti”. Aiutiamoli a reagire davanti a queste istigazioni nefaste, perché ciascuno possa trovare la strada da seguire per acquisire un’identità forte e generosa.

È facile, parlando dei poveri, cadere nella retorica. È una tentazione insidiosa anche quella di fermarsi alle statistiche e ai numeri. I poveri sono persone, hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti, come tutti, ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro.

Il Libro di Tobia ci insegna la concretezza del nostro agire con e per i poveri. È una questione di giustizia che ci impegna tutti a cercarci e incontrarci reciprocamente, per favorire l’armonia necessaria affinché una comunità possa identificarsi come tale. Interessarsi dei poveri, quindi, non si esaurisce in frettolose elemosine; chiede di ristabilire le giuste relazioni interpersonali che sono state intaccate dalla povertà. In tal modo, “non distogliere lo sguardo dal povero” conduce a ottenere i benefici della misericordia, della carità che dà senso e valore a tutta la vita cristiana.

9. La nostra attenzione verso i poveri sia sempre segnata dal realismo evangelico. La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del mio superfluo. Anche qui ci vuole discernimento, sotto la guida dello Spirito Santo, per riconoscere le vere esigenze dei fratelli e non le nostre aspirazioni. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto all’amore. Non dimentichiamo: «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, 198). La fede ci insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui o in lei è presente Cristo: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

10. Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino. In una pagina della sua Storia di un’anima scrive così: «Ora capisco che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi assolutamente delle loro debolezze, edificarsi nei minimi atti di virtù che vediamo praticare, ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare chiusa in fondo al cuore: “Nessuno, ha detto Gesù, accende una fiaccola per metterla sotto il moggio ma la si mette sul candeliere, affinché illumini tutti quelli che sono nella casa”. Mi sembra che questa fiaccola rappresenti la carità che deve illuminare, rallegrare non solo coloro che sono a me più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuare nessuno» (Ms C, 12r°: Opere complete, Roma 1997, 247).

In questa casa che è il mondo, tutti hanno diritto a essere illuminati dalla carità, nessuno può esserne privato. La tenacia dell’amore di Santa Teresina possa ispirare i nostri cuori in questa Giornata Mondiale, ci aiuti a “non distogliere lo sguardo dal povero” e a mantenerlo sempre fisso sul volto umano e divino del Signore Gesù Cristo.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2023, Memoria di Sant’Antonio di Padova, patrono dei poveri.

 

FRANCESCO

 

 


 

20221113MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

VI GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
13 novembre 2022

 

Gesù Cristo si è fatto povero per voi (cfr 2 Cor 8,9)
 

1. «Gesù Cristo […] si è fatto povero per voi» (cfr 2 Cor 8,9). Con queste parole l’apostolo Paolo si rivolge ai primi cristiani di Corinto, per dare fondamento al loro impegno di solidarietà con i fratelli bisognosi. La Giornata Mondiale dei Poveri torna anche quest’anno come sana provocazione per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente.

Qualche mese fa, il mondo stava uscendo dalla tempesta della pandemia, mostrando segni di recupero economico che avrebbe restituito sollievo a milioni di persone impoverite dalla perdita del lavoro. Si apriva uno squarcio di sereno che, senza far dimenticare il dolore per la perdita dei propri cari, prometteva di poter tornare finalmente alle relazioni interpersonali dirette, a incontrarsi di nuovo senza più vincoli o restrizioni. Ed ecco che una nuova sciagura si è affacciata all’orizzonte, destinata ad imporre al mondo un scenario diverso.

La guerra in Ucraina è venuta ad aggiungersi alle guerre regionali che in questi anni stanno mietendo morte e distruzione. Ma qui il quadro si presenta più complesso per il diretto intervento di una “superpotenza”, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Si ripetono scene di tragica memoria e ancora una volta i ricatti reciproci di alcuni potenti coprono la voce dell’umanità che invoca la pace.

2. Quanti poveri genera l’insensatezza della guerra! Dovunque si volga lo sguardo, si constata come la violenza colpisca le persone indifese e più deboli. Deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità. Ritornano attuali le parole del Salmista di fronte alla distruzione di Gerusalemme e all’esilio dei giovani ebrei: «Lungo i fiumi di Babilonia / là sedevamo e piangevamo / ricordandoci di Sion. / Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre, / perché là ci chiedevano parole di canto, / coloro che ci avevano deportato, / allegre canzoni i nostri oppressori. / […] Come cantare i canti del Signore / in terra straniera?» (Sal 137,1-4).

Sono milioni le donne, i bambini, gli anziani costretti a sfidare il pericolo delle bombe pur di mettersi in salvo cercando rifugio come profughi nei Paesi confinanti. Quanti poi rimangono nelle zone di conflitto, ogni giorno convivono con la paura e la mancanza di cibo, acqua, cure mediche e soprattutto degli affetti. In questi frangenti la ragione si oscura e chi ne subisce le conseguenze sono tante persone comuni, che vengono ad aggiungersi al già elevato numero di indigenti. Come dare una risposta adeguata che porti sollievo e pace a tanta gente, lasciata in balia dell’incertezza e della precarietà?

3. In questo contesto così contraddittorio viene a porsi la VI Giornata Mondiale dei Poveri, con l’invito – ripreso dall’apostolo Paolo – a tenere lo sguardo fisso su Gesù, il quale «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Nella sua visita a Gerusalemme, Paolo aveva incontrato Pietro, Giacomo e Giovanni i quali gli avevano chiesto di non dimenticare i poveri. La comunità di Gerusalemme, in effetti, si trovava in gravi difficoltà per la carestia che aveva colpito il Paese. E l’Apostolo si era subito preoccupato di organizzare una grande colletta a favore di quei poveri. I cristiani di Corinto si mostrarono molto sensibili e disponibili. Su indicazione di Paolo, ogni primo giorno della settimana raccolsero quanto erano riusciti a risparmiare e tutti furono molto generosi.

Come se il tempo non fosse mai trascorso da quel momento, anche noi ogni domenica, durante la celebrazione della santa Eucaristia, compiamo il medesimo gesto, mettendo in comune le nostre offerte perché la comunità possa provvedere alle esigenze dei più poveri. È un segno che i cristiani hanno sempre compiuto con gioia e senso di responsabilità, perché nessun fratello e sorella debba mancare del necessario. Lo attestava già il resoconto di San Giustino, che, nel secondo secolo, descrivendo all’imperatore Antonino Pio la celebrazione domenicale dei cristiani, scriveva così: «Nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti finché il tempo lo consente. […] Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli elementi consacrati e attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. I facoltosi e quelli che lo desiderano danno liberamente, ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il sacerdote. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, i carcerati, gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno» (Prima Apologia, LXVII, 1-6).

4. Tornando alla comunità di Corinto, dopo l’entusiasmo iniziale il loro impegno cominciò a venire meno e l’iniziativa proposta dall’Apostolo perse di slancio. È questo il motivo che spinge Paolo a scrivere in maniera appassionata rilanciando la colletta, «perché, come vi fu la prontezza del volere, così vi sia anche il compimento, secondo i vostri mezzi» (2 Cor 8,11).

Penso in questo momento alla disponibilità che, negli ultimi anni, ha mosso intere popolazioni ad aprire le porte per accogliere milioni di profughi delle guerre in Medio Oriente, in Africa centrale e ora in Ucraina. Le famiglie hanno spalancato le loro case per fare spazio ad altre famiglie, e le comunità hanno accolto con generosità tante donne e bambini per offrire loro la dovuta dignità. Tuttavia, più si protrae il conflitto, più si aggravano le sue conseguenze. I popoli che accolgono fanno sempre più fatica a dare continuità al soccorso; le famiglie e le comunità iniziano a sentire il peso di una situazione che va oltre l’emergenza. È questo il momento di non cedere e di rinnovare la motivazione iniziale. Ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità.

5. La solidarietà, in effetti, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà. D’altronde, bisogna considerare che ci sono Paesi dove, in questi decenni, si è attuata una crescita di benessere significativo per tante famiglie, che hanno raggiunto uno stato di vita sicuro. Si tratta di un frutto positivo dell’iniziativa privata e di leggi che hanno sostenuto la crescita economica congiunta a un concreto incentivo alle politiche familiari e alla responsabilità sociale. Il patrimonio di sicurezza e stabilità raggiunto possa ora essere condiviso con quanti sono stati costretti a lasciare le loro case e il loro Paese per salvarsi e sopravvivere. Come membri della società civile, manteniamo vivo il richiamo ai valori di libertà, responsabilità, fratellanza e solidarietà. E come cristiani, ritroviamo sempre nella carità, nella fede e nella speranza il fondamento del nostro essere e del nostro agire.

6. È interessante osservare che l’Apostolo non vuole obbligare i cristiani costringendoli a un’opera di carità. Scrive infatti: «Non dico questo per darvi un comando» (2 Cor 8,8); piuttosto, egli intende «mettere alla prova la sincerità» del loro amore nell’attenzione e premura verso i poveri (cfr ibid.). A fondamento della richiesta di Paolo sta certamente la necessità di aiuto concreto, tuttavia la sua intenzione va oltre. Egli invita a realizzare la colletta perché sia segno dell’amore così come è stato testimoniato da Gesù stesso. Insomma, la generosità nei confronti dei poveri trova la sua motivazione più forte nella scelta del Figlio di Dio che ha voluto farsi povero Lui stesso.

L’Apostolo, infatti, non teme di affermare che questa scelta di Cristo, questa sua “spogliazione”, è una «grazia», anzi, «la grazia del Signore nostro Gesù Cristo» (2 Cor 8,9), e solo accogliendola noi possiamo dare espressione concreta e coerente alla nostra fede. L’insegnamento di tutto il Nuovo Testamento ha una sua unità intorno a questo tema, che trova riscontro anche nelle parole dell’apostolo Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,22-25).

7. Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno. A volte, invece, può subentrare una forma di rilassatezza, che porta ad assumere comportamenti non coerenti, quale è l’indifferenza nei confronti dei poveri. Succede inoltre che alcuni cristiani, per un eccessivo attaccamento al denaro, restino impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio. Sono situazioni che manifestano una fede debole e una speranza fiacca e miope.

Sappiamo che il problema non è il denaro in sé, perché esso fa parte della vita quotidiana delle persone e dei rapporti sociali. Ciò su cui dobbiamo riflettere è, piuttosto, il valore che il denaro possiede per noi: non può diventare un assoluto, come se fosse lo scopo principale. Un simile attaccamento impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri. Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare.

Non si tratta, quindi, di avere verso i poveri un comportamento assistenzialistico, come spesso accade; è necessario invece impegnarsi perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto. Pertanto, «nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. […] Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 201). È urgente trovare nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali «concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli» (Enc. Fratelli tutti, 169). Bisogna tendere invece ad assumere l’atteggiamento dell’Apostolo che poteva scrivere ai Corinzi: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13).         

8. C’è un paradosso che oggi come nel passato è difficile da accettare, perché si scontra con la logica umana: c’è una povertà che rende ricchi. Richiamando la “grazia” di Gesù Cristo, Paolo vuole confermare quello che Lui stesso ha predicato, cioè che la vera ricchezza non consiste nell’accumulare «tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano» (Mt 6,19), ma piuttosto nell’amore vicendevole che ci fa portare i pesi gli uni degli altri così che nessuno sia abbandonato o escluso. L’esperienza di debolezza e del limite che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, e ora la tragedia di una guerra con ripercussioni globali, devono insegnare qualcosa di decisivo: non siamo al mondo per sopravvivere, ma perché a tutti sia consentita una vita degna e felice. Il messaggio di Gesù ci mostra la via e ci fa scoprire che c’è una povertà che umilia e uccide, e c’è un’altra povertà, la sua, che libera e rende sereni.

La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta. Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento.

La povertà che libera, al contrario, è quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale. In effetti, si può facilmente riscontrare quel senso di insoddisfazione che molti sperimentano, perché sentono che manca loro qualcosa di importante e ne vanno alla ricerca come erranti senza meta. Desiderosi di trovare ciò che possa appagarli, hanno bisogno di essere indirizzati verso i piccoli, i deboli, i poveri per comprendere finalmente quello di cui avevano veramente necessità. Incontrare i poveri permette di mettere fine a tante ansie e paure inconsistenti, per approdare a ciò che veramente conta nella vita e che nessuno può rubarci: l’amore vero e gratuito. I poveri, in realtà, prima di essere oggetto della nostra elemosina, sono soggetti che aiutano a liberarci dai lacci dell’inquietudine e della superficialità.

Un padre e dottore della Chiesa, San Giovanni Crisostomo, nei cui scritti si incontrano forti denunce contro il comportamento dei cristiani verso i più poveri, scriveva: «Se non puoi credere che la povertà ti faccia diventare ricco, pensa al Signore tuo e smetti di dubitare di questo. Se egli non fosse stato povero, tu non saresti ricco; questo è straordinario, che dalla povertà derivò abbondante ricchezza. Paolo intende qui con “ricchezze” la conoscenza della pietà, la purificazione dai peccati, la giustizia, la santificazione e altre mille cose buone che ci sono state date ora e sempre. Tutto ciò lo abbiamo grazie alla povertà» (Omelie sulla II Lettera ai Corinzi, 17,1).

9. Il testo dell’Apostolo a cui si riferisce questa VI Giornata Mondiale dei Poveri presenta il grande paradosso della vita di fede: la povertà di Cristo ci rende ricchi. Se Paolo ha potuto dare questo insegnamento – e la Chiesa diffonderlo e testimoniarlo nei secoli – è perché Dio, nel suo Figlio Gesù, ha scelto e percorso questa strada. Se Lui si è fatto povero per noi, allora la nostra stessa vita viene illuminata e trasformata, e acquista un valore che il mondo non conosce e non può dare. La ricchezza di Gesù è il suo amore, che non si chiude a nessuno e a tutti va incontro, soprattutto a quanti sono emarginati e privi del necessario. Per amore ha spogliato sé stesso e ha assunto la condizione umana. Per amore si è fatto servo obbediente, fino a morire e a morire in croce (cfr Fil 2,6-8). Per amore si è fatto «pane di vita» (Gv 6,35), perché nessuno manchi del necessario e possa trovare il cibo che nutre per la vita eterna. Anche ai nostri giorni sembra difficile, come lo fu allora per i discepoli del Signore, accettare questo insegnamento (cfr Gv 6,60); ma la parola di Gesù è netta. Se vogliamo che la vita vinca sulla morte e la dignità sia riscattata dall’ingiustizia, la strada è la sua: è seguire la povertà di Gesù Cristo, condividendo la vita per amore, spezzando il pane della propria esistenza con i fratelli e le sorelle, a partire dagli ultimi, da quanti mancano del necessario, perché sia fatta uguaglianza, i poveri siano liberati dalla miseria e i ricchi dalla vanità, entrambe senza speranza.

10. Il 15 maggio scorso ho canonizzato Fratel Charles de Foucauld, un uomo che, nato ricco, rinunciò a tutto per seguire Gesù e diventare con Lui povero e fratello di tutti. La sua vita eremitica, prima a Nazaret e poi nel deserto sahariano, fatta di silenzio, preghiera e condivisione, è una testimonianza esemplare di povertà cristiana. Ci farà bene meditare su queste sue parole: «Non disprezziamo i poveri, i piccoli, gli operai; non solo essi sono i nostri fratelli in Dio, ma sono anche quelli che nel modo più perfetto imitano Gesù nella sua vita esteriore. Essi ci rappresentano perfettamente Gesù, l’Operaio di Nazaret. Sono primogeniti tra gli eletti, i primi chiamati alla culla del Salvatore. Furono la compagnia abituale di Gesù, dalla sua nascita alla sua morte […]. Onoriamoli, onoriamo in essi le immagini di Gesù e dei suoi santi genitori […]. Prendiamo per noi [la condizione] che egli ha preso per sé […]. Non cessiamo mai di essere in tutto poveri, fratelli dei poveri, compagni dei poveri, siamo i più poveri dei poveri come Gesù, e come lui amiamo i poveri e circondiamoci di loro» ( Commenti al Vangelo di Luca, Meditazione 263). [1] Per Fratel Charles queste non furono solo parole, ma stile concreto di vita, che lo portò a condividere con Gesù il dono della vita stessa.

Questa VI Giornata Mondiale dei Poveri diventi un’opportunità di grazia, per fare un esame di coscienza personale e comunitario e domandarci se la povertà di Gesù Cristo è la nostra fedele compagna di vita.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2022, Memoria di Sant’Antonio di Padova.
 

FRANCESCO

_______________________________________ 

[1] Meditazione n. 263 su Lc 2,8-20: C. DE FOUCAULD, La Bonté de Dieu. Méditations sur les saints Evangiles (1), Nouvelle Cité, Montrouge 1996, 214-216.

 

 

 

 



 2021 11 14 quinta giornata mondiale poveri

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

V GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
14 novembre 2021

«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7)


1. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. Quel gesto suscitò grande stupore e diede adito a due diverse interpretazioni.

La prima è l’indignazione di alcuni tra i presenti, compresi i discepoli, i quali considerando il valore del profumo – circa 300 denari, equivalente al salario annuo di un lavoratore – pensano che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri. Secondo il Vangelo di Giovanni, è Giuda che si fa interprete di questa posizione: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». E l’evangelista annota: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (12,5-6). Non è un caso che questa dura critica venga dalla bocca del traditore: è la prova che quanti non riconoscono i poveri tradiscono l’insegnamento di Gesù e non possono essere suoi discepoli. Ricordiamo, in proposito, le parole forti di Origene: «Giuda sembrava preoccuparsi dei poveri […]. Se adesso c’è ancora qualcuno che ha la borsa della Chiesa e parla a favore dei poveri come Giuda, ma poi si prende quello che mettono dentro, abbia allora la sua parte insieme a Giuda» (Commento al vangelo di Matteo, 11, 9).

La seconda interpretazione è data da Gesù stesso e permette di cogliere il senso profondo del gesto compiuto dalla donna. Egli dice: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me» (Mc 14,6). Gesù sa che la sua morte è vicina e vede in quel gesto l’anticipo dell’unzione del suo corpo senza vita prima di essere posto nel sepolcro. Questa visione va al di là di ogni aspettativa dei commensali. Gesù ricorda loro che il primo povero è Lui, il più povero tra i poveri perché li rappresenta tutti. Ed è anche a nome dei poveri, delle persone sole, emarginate e discriminate che il Figlio di Dio accetta il gesto di quella donna. Ella, con la sua sensibilità femminile, mostra di essere l’unica a comprendere lo stato d’animo del Signore. Questa donna anonima, destinata forse per questo a rappresentare l’intero universo femminile che nel corso dei secoli non avrà voce e subirà violenze, inaugura la significativa presenza di donne che prendono parte al momento culminante della vita di Cristo: la sua crocifissione, morte e sepoltura e la sua apparizione da Risorto. Le donne, così spesso discriminate e tenute lontano dai posti di responsabilità, nelle pagine dei Vangeli sono invece protagoniste nella storia della rivelazione. Ed è eloquente l’espressione conclusiva di Gesù, che associa questa donna alla grande missione evangelizzatrice: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).

2. Questa forte “empatia” tra Gesù e la donna, e il modo in cui Egli interpreta la sua unzione, in contrasto con la visione scandalizzata di Giuda e di altri, aprono una strada feconda di riflessione sul legame inscindibile che c’è tra Gesù, i poveri e l’annuncio del Vangelo.

Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno (cfr Mt 5,3).

I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stesso. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la condivisione genera fratellanza. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura. La prima rischia di gratificare chi la compie e di umiliare chi la riceve; la seconda rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia. Insomma, i credenti, quando vogliono vedere di persona Gesù e toccarlo con mano, sanno dove rivolgersi: i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui.

Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro progetto di vita. Penso, tra gli altri, a Padre Damiano de Veuster, santo apostolo dei lebbrosi. Con grande generosità rispose alla chiamata di recarsi nell’isola di Molokai, diventata un ghetto accessibile solo ai lebbrosi, per vivere e morire con loro. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per rendere la vita di quei poveri malati ed emarginati, ridotti in estremo degrado, degna di essere vissuta. Si fece medico e infermiere, incurante dei rischi che correva e in quella “colonia di morte”, come veniva chiamata l’isola, portò la luce dell’amore. La lebbra colpì anche lui, segno di una condivisione totale con i fratelli e le sorelle per i quali aveva donato la vita. La sua testimonianza è molto attuale ai nostri giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus: la grazia di Dio è certamente all’opera nei cuori di tanti che, senza apparire, si spendono per i più poveri in una concreta condivisione.

4. Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Spesso i poveri sono considerati come persone separate, come una categoria che richiede un particolare servizio caritativo. Seguire Gesù comporta, in proposito, un cambiamento di mentalità, cioè di accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione. Diventare suoi discepoli implica la scelta di non accumulare tesori sulla terra, che danno l’illusione di una sicurezza in realtà fragile ed effimera. Al contrario, richiede la disponibilità a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità e beatitudine, per riconoscere ciò che è duraturo e non può essere distrutto da niente e nessuno (cfr Mt 6,19-20).

L’insegnamento di Gesù anche in questo caso va controcorrente, perché promette ciò che solo gli occhi della fede possono vedere e sperimentare con assoluta certezza: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo. Si tratta, pertanto, di aprirsi decisamente alla grazia di Cristo, che può renderci testimoni della sua carità senza limiti e restituire credibilità alla nostra presenza nel mondo.

5. Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà. Sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema economico che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale.

Lo scorso anno, inoltre, si è aggiunta un’altra piaga che ha moltiplicato ulteriormente i poveri: la pandemia. Essa continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà. I poveri sono aumentati a dismisura e, purtroppo, lo saranno ancora nei prossimi mesi. Alcuni Paesi stanno subendo per la pandemia gravissime conseguenze, così che le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento. Uno sguardo attento richiede che si trovino le soluzioni più idonee per combattere il virus a livello mondiale, senza mirare a interessi di parte. In particolare, è urgente dare risposte concrete a quanti patiscono la disoccupazione, che colpisce in maniera drammatica tanti padri di famiglia, donne e giovani. La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo molto importante in questo frangente.

6. Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata? Uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà, e spesso scarica sui poveri tutta la responsabilità della loro condizione. Ma la povertà non è frutto del destino, è conseguenza dell’egoismo. Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero! Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità. I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere. Quanti esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi! I poveri ci insegnano spesso la solidarietà e la condivisione. È vero, sono persone a cui manca qualcosa, spesso manca loro molto e perfino il necessario, ma non mancano di tutto, perché conservano la dignità di figli di Dio che niente e nessuno può loro togliere.

7. Per questo si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle statistiche e si pensa di commuovere con qualche documentario. La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona. È un’illusione da cui stare lontani quella di pensare che la libertà sia consentita e accresciuta per il possesso di denaro. Servire con efficacia i poveri provoca all’azione e permette di trovare le forme più adeguate per risollevare e promuovere questa parte di umanità troppe volte anonima e afona, ma con impresso in sé il volto del Salvatore che chiede aiuto.

8. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano.Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Non si tratta di alleggerire la nostra coscienza facendo qualche elemosina, ma  piuttosto di contrastare la cultura dell’indifferenza e dell’ingiustizia con cui ci si pone nei confronti dei poveri.

In questo contesto fa bene ricordare anche le parole di San Giovanni Crisostomo: «Chi è generoso non deve chiedere conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora manchi del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. […] L’uomo misericordioso è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all’interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura» (Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).

9. È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento come lo sono le condizioni di vita. Oggi, infatti, nelle aree del mondo economicamente più sviluppate si è meno disposti che in passato a confrontarsi con la povertà. Lo stato di relativo benessere a cui ci si è abituati rende più difficile accettare sacrifici e privazioni. Si è pronti a tutto pur di non essere privati di quanto è stato frutto di facile conquista. Si cade così in forme di rancore, di nervosismo spasmodico, di rivendicazioni che portano alla paura, all’angoscia e in alcuni casi alla violenza. Non è questo il criterio su cui costruire il futuro; eppure, anche queste sono forme di povertà da cui non si può distogliere lo sguardo. Dobbiamo essere aperti a leggere i segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo contemporaneo. L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta.

Mi auguro che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poverichi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano»(“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di salvezza.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2021,
Memoria di Sant’Antonio di Padova

FRANCESCO

 

 

 



 2020 11 15 quarta giornata mondiale poveri

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

IV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
15 novembre 2020

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32)

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32). La sapienza antica ha posto queste parole come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barriere dell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli (cfr Mt 25,40).

1. Prendiamo tra le mani il Siracide, uno dei libri dell’Antico Testamento. Qui troviamo le parole di un maestro di saggezza vissuto circa duecento anni prima di Cristo. Egli andava in cerca della sapienza che rende gli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vicende della vita. Lo faceva in un momento di dura prova per il popolo d’Israele, un tempo di dolore, lutto e miseria a causa del dominio di potenze straniere. Essendo un uomo di grande fede, radicato nelle tradizioni dei padri, il suo primo pensiero fu di rivolgersi a Dio per chiedere a Lui il dono della sapienza. E il Signore non gli fece mancare il suo aiuto.

Fin dalle prime pagine del libro, il Siracide espone i suoi consigli su molte concrete situazioni di vita, e la povertà è una di queste. Egli insiste sul fatto che nel disagio bisogna avere fiducia in Dio: «Non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella povertà confida in lui. Affidati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui. Voi che temete il Signore, aspettate la sua misericordia e non deviate, per non cadere» (2,2-7).

2. Pagina dopo pagina, scopriamo un prezioso compendio di suggerimenti sul modo di agire alla luce di un’intima relazione con Dio, creatore e amante del creato, giusto e provvidente verso tutti i suoi figli. Il costante riferimento a Dio, tuttavia, non distoglie dal guardare all’uomo concreto, al contrario, le due cose sono strettamente connesse.

Lo dimostra chiaramente il brano da cui è tratto il titolo di questo Messaggio (cfr 7,29-36). La preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Da tale attenzione deriva il dono della benedizione divina, attirata dalla generosità praticata nei confronti del povero. Pertanto, il tempo da dedicare alla preghiera non può mai diventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà. È vero il contrario: la benedizione del Signore scende su di noi e la preghiera raggiunge il suo scopo quando esse sono accompagnate dal servizio ai poveri.

3. Quanto è attuale questo antico insegnamento anche per noi! Infatti la Parola di Dio oltrepassa lo spazio, il tempo, le religioni e le culture. La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto.

Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina. Ogni anno, con la Giornata Mondiale dei Poveri, ritorno su questa realtà fondamentale per la vita della Chiesa, perché i poveri sono e saranno sempre con noi (cfr Gv 12,8) per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana.

4. Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non le è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità.

È vero, la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione. Essa, inoltre, si sente in dovere di presentare le istanze di quanti non hanno il necessario per vivere. Ricordare a tutti il grande valore del bene comune è per il popolo cristiano un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare nessuno di coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali.

5. Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita. Quante mani tese si vedono ogni giorno! Purtroppo, accade sempre più spesso che la fretta trascina in un vortice di indifferenza, al punto che non si sa più riconoscere il tanto bene che quotidianamente viene compiuto nel silenzio e con grande generosità. Accade così che, solo quando succedono fatti che sconvolgono il corso della nostra vita, gli occhi diventano capaci di scorgere la bontà dei santi “della porta accanto”, «di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 7), ma di cui nessuno parla. Le cattive notizie abbondano sulle pagine dei giornali, nei siti internet e sugli schermi televisivi, tanto da far pensare che il male regni sovrano. Non è così. Certo, non mancano la cattiveria e la violenza, il sopruso e la corruzione, ma la vita è intessuta di atti di rispetto e di generosità che non solo compensano il male, ma spingono ad andare oltre e ad essere pieni di speranza.

6. Tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi, nei quali il mondo intero è stato come sopraffatto da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano tesa del medico che si preoccupa di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati. La mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo un tetto, non hanno da mangiare. La mano tesa di uomini e donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione.

7. Questa pandemia è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto, offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi.

Questo momento che stiamo vivendo ha messo in crisi tante certezze. Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato il senso del limite e la restrizione della libertà. La perdita del lavoro, degli affetti più cari, come la mancanza delle consuete relazioni interpersonali hanno di colpo spalancato orizzonti che non eravamo più abituati a osservare. Le nostre ricchezze spirituali e materiali sono state messe in discussione e abbiamo scoperto di avere paura. Chiusi nel silenzio delle nostre case, abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturato l’esigenza di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima vicendevole. Questo è un tempo favorevole per «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo […]. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà […]. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (Lett. enc. Laudato si’, 229). Insomma, le gravi crisi economiche, finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno deve sentire verso il prossimo ed ogni persona.

8. “Tendi la mano al povero”, dunque, è un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San Paolo: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. […] Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 5,13-14; 6,2). L’Apostolo insegna che la libertà che ci è stata donata con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno di noi una responsabilità per mettersi al servizio degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità della fede che professiamo.

Il libro del Siracide ritorna in nostro aiuto: suggerisce azioni concrete per sostenere i più deboli e usa anche alcune immagini suggestive. Dapprima prende in considerazione la debolezza di quanti sono tristi: «Non evitare coloro che piangono» (7,34). Il periodo della pandemia ci ha costretti a un forzato isolamento, impedendoci perfino di poter consolare e stare vicino ad amici e conoscenti afflitti per la perdita dei loro cari. E ancora afferma l’autore sacro: «Non esitare a visitare un malato» (7,35). Abbiamo sperimentato l’impossibilità di stare accanto a chi soffre, e al tempo stesso abbiamo preso coscienza della fragilità della nostra esistenza. Insomma, la Parola di Dio non ci lascia mai tranquilli e continua a stimolarci al bene.

9. “Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto! Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro  con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano.

In questo panorama, «gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 54). Non potremo essere contenti fino a quando queste mani che seminano morte non saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il mondo intero.

10. «In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine» (Sir 7,36). È l’espressione con cui il Siracide conclude questa sua riflessione. Il testo si presta a una duplice interpretazione. La prima fa emergere che abbiamo bisogno di tenere sempre presente la fine della nostra esistenza. Ricordarsi il destino comune può essere di aiuto per condurre una vita all’insegna dell’attenzione a chi è più povero e non ha avuto le stesse nostre possibilità. Esiste anche una seconda interpretazione, che evidenzia piuttosto il fine, lo scopo verso cui ognuno tende. È il fine della nostra vita che richiede un progetto da realizzare e un cammino da compiere senza stancarsi. Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro che l’amore. È questo lo scopo verso cui siamo incamminati e nulla ci deve distogliere da esso. Questo amore è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo fine appare nel momento in cui il bambino si incontra con il sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre, ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo.

In questo cammino di incontro quotidiano con i poveri ci accompagna la Madre di Dio, che più di ogni altra è la Madre dei poveri. La Vergine Maria conosce da vicino le difficoltà e le sofferenze di quanti sono emarginati, perché lei stessa si è trovata a dare alla luce il Figlio di Dio in una stalla. Per la minaccia di Erode, con Giuseppe suo sposo e il piccolo Gesù è fuggita in un altro paese, e la condizione di profughi ha segnato per alcuni anni la santa Famiglia. Possa la preghiera alla Madre dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2020, Memoria liturgica di Sant’Antonio di Padova.

Francesco



 2019 11 18 terza giornata mondiale dei poveri

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

III GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
17 novembre 2019

La speranza dei poveri non sarà mai delusa

1. «La speranza dei poveri non sarà mai delusa» (Sal 9,19). Le parole del Salmo manifestano una incredibile attualità. Esprimono una verità profonda che la fede riesce a imprimere soprattutto nel cuore dei più poveri: restituire la speranza perduta dinanzi alle ingiustizie, sofferenze e precarietà della vita.

Il Salmista descrive la condizione del povero e l’arroganza di chi lo opprime (cfr 10, 1-10). Invoca il giudizio di Dio perché sia restituita giustizia e superata l’iniquità (cfr 10, 14-15). Sembra che nelle sue parole ritorni la domanda che si rincorre nel corso dei secoli fino ai nostri giorni: come può Dio tollerare questa disparità? Come può permettere che il povero venga umiliato, senza intervenire in suo aiuto? Perché consente che chi opprime abbia vita felice mentre il suo comportamento andrebbe condannato proprio dinanzi alla sofferenza del povero?

Nel momento della composizione di questo Salmo si era in presenza di un grande sviluppo economico che, come spesso accade, giunse anche a produrre forti squilibri sociali. La sperequazione generò un numeroso gruppo di indigenti, la cui condizione appariva ancor più drammatica se confrontata con la ricchezza raggiunta da pochi privilegiati. L’autore sacro, osservando questa situazione, dipinge un quadro tanto realistico quanto veritiero.

Era il tempo in cui gente arrogante e senza alcun senso di Dio dava la caccia ai poveri per impossessarsi perfino del poco che avevano e ridurli in schiavitù. Non è molto diverso oggi. La crisi economica non ha impedito a numerosi gruppi di persone un arricchimento che spesso appare tanto più anomalo quanto più nelle strade delle nostre città tocchiamo con mano l’ingente numero di poveri a cui manca il necessario e che a volte sono vessati e sfruttati. Tornano alla mente le parole dell’Apocalisse: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,17). Passano i secoli ma la condizione di ricchi e poveri permane immutata, come se l’esperienza della storia non insegnasse nulla. Le parole del Salmo, dunque, non riguardano il passato, ma il nostro presente posto dinanzi al giudizio di Dio.

2. Anche oggi dobbiamo elencare molte forme di nuove schiavitù a cui sono sottoposti milioni di uomini, donne, giovani e bambini.

Incontriamo ogni giorno famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale ai quali viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?

Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all’erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri.

Dramma nel dramma, non è consentito loro di vedere la fine del tunnel della miseria. Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto… Ogni eventuale possibilità offerta, diventa uno spiraglio di luce; eppure, anche là dove dovrebbe registrarsi almeno la giustizia, spesso si infierisce su di loro con la violenza del sopruso. Sono costretti a ore infinite sotto il sole cocente per raccogliere i frutti della stagione, ma sono ricompensati con una paga irrisoria; non hanno sicurezza sul lavoro né condizioni umane che permettano di sentirsi uguali agli altri. Non esiste per loro cassa integrazione, indennità, nemmeno la possibilità di ammalarsi.

Il Salmista descrive con crudo realismo l’atteggiamento dei ricchi che depredano i poveri: “Stanno in agguato per ghermire il povero…attirandolo nella rete” (cfr Sal 10,9). È come se per loro si trattasse di una battuta di caccia, dove i poveri sono braccati, presi e resi schiavi. In una condizione come questa il cuore di tanti si chiude, e il desiderio di diventare invisibili prende il sopravvento. Insomma, riconosciamo una moltitudine di poveri spesso trattati con retorica e sopportati con fastidio. Diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società. Uomini e donne sempre più estranei tra le nostre case e marginalizzati tra i nostri quartieri.

3. Il contesto che il Salmo descrive si colora di tristezza, per l’ingiustizia, la sofferenza e l’amarezza che colpisce i poveri. Nonostante questo, offre una bella definizione del povero. Egli è colui che “confida nel Signore” (cfr v. 11), perché ha la certezza di non essere mai abbandonato. Il povero, nella Scrittura, è l’uomo della fiducia! L’autore sacro offre anche il motivo di tale fiducia: egli “conosce il suo Signore” (cfr ibid.), e nel linguaggio biblico questo “conoscere” indica un rapporto personale di affetto e di amore.

Siamo dinanzi a una descrizione davvero impressionante che non ci aspetteremmo mai. Ciò, tuttavia, non fa che esprimere la grandezza di Dio quando si trova dinanzi a un povero. La sua forza creatrice supera ogni aspettativa umana e si rende concreta nel “ricordo” che egli ha di quella persona concreta (cfr v. 13). È proprio questa confidenza nel Signore, questa certezza di non essere abbandonato, che richiama alla speranza. Il povero sa che Dio non lo può abbandonare; perciò vive sempre alla presenza di quel Dio che si ricorda di lui. Il suo aiuto si estende oltre la condizione attuale di sofferenza per delineare un cammino di liberazione che trasforma il cuore, perché lo sostiene nel più profondo.

4. È un ritornello permanente delle Sacre Scritture la descrizione dell’agire di Dio in favore dei poveri. Egli è colui che “ascolta”, “interviene”, “protegge”, “difende”, “riscatta”, “salva”… Insomma, un povero non potrà mai trovare Dio indifferente o silenzioso dinanzi alla sua preghiera. Dio è colui che rende giustizia e non dimentica (cfr Sal 40,18; 70,6); anzi, è per lui un rifugio e non manca di venire in suo aiuto (cfr Sal 10,14).

Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il “giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta e abbraccia la terra intera. Come scriveva Don Primo Mazzolari: «Il povero è una protesta continua contro le nostre ingiustizie; il povero è una polveriera. Se le dai fuoco, il mondo salta».

5. Non è mai possibile eludere il pressante richiamo che la Sacra Scrittura affida ai poveri. Dovunque si volga lo sguardo, la Parola di Dio indica che i poveri sono quanti non hanno il necessario per vivere perché dipendono dagli altri. Sono l’oppresso, l’umile, colui che è prostrato a terra. Eppure, dinanzi a questa innumerevole schiera di indigenti, Gesù non ha avuto timore di identificarsi con ciascuno di essi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Sfuggire da questa identificazione equivale a mistificare il Vangelo e annacquare la rivelazione. Il Dio che Gesù ha voluto rivelare è questo: un Padre generoso, misericordioso, inesauribile nella sua bontà e grazia, che dona speranza soprattutto a quanti sono delusi e privi di futuro.

Come non evidenziare che le Beatitudini, con le quali Gesù ha inaugurato la predicazione del regno di Dio, si aprono con questa espressione: «Beati voi, poveri» (Lc 6,20)? Il senso di questo annuncio paradossale è che proprio ai poveri appartiene il Regno di Dio, perché sono nella condizione di riceverlo. Quanti poveri incontriamo ogni giorno! Sembra a volte che il passare del tempo e le conquiste di civiltà aumentino il loro numero piuttosto che diminuirlo. Passano i secoli, e quella beatitudine evangelica appare sempre più paradossale; i poveri sono sempre più poveri, e oggi lo sono ancora di più. Eppure Gesù, che ha inaugurato il suo Regno ponendo i poveri al centro, vuole dirci proprio questo: Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di portarlo avanti, con la responsabilità di dare speranza ai poveri. È necessario, soprattutto in un periodo come il nostro, rianimare la speranza e restituire fiducia. È un programma che la comunità cristiana non può sottovalutare. Ne va della credibilità del nostro annuncio e della testimonianza dei cristiani.

6. Nella vicinanza ai poveri, la Chiesa scopre di essere un popolo che, sparso tra tante nazioni, ha la vocazione di non far sentire nessuno straniero o escluso, perché tutti coinvolge in un comune cammino di salvezza. La condizione dei poveri obbliga a non prendere alcuna distanza dal Corpo del Signore che soffre in loro. Siamo chiamati, piuttosto, a toccare la sua carne per comprometterci in prima persona in un servizio che è autentica evangelizzazione. La promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all’annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica. L’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale, senza alcun influsso sulla vita sociale (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 183).

Recentemente abbiamo pianto la morte di un grande apostolo dei poveri, Jean Vanier, che con la sua dedizione ha aperto nuove vie alla condivisione promozionale con le persone emarginate. Jean Vanier ha ricevuto da Dio il dono di dedicare tutta la sua vita ai fratelli con gravi disabilità che spesso la società tende ad escludere. È stato un “santo della porta accanto” alla nostra; con il suo entusiasmo ha saputo raccogliere intorno a sé tanti giovani, uomini e donne, che con impegno quotidiano hanno dato amore e restituito il sorriso a tante persone deboli e fragili offrendo loro una vera “arca” di salvezza contro l’emarginazione e la solitudine. Questa sua testimonianza ha cambiato la vita di tante persone e ha aiutato il mondo a guardare con occhi diversi alle persone più fragili e deboli. Il grido dei poveri è stato ascoltato e ha prodotto una speranza incrollabile, creando segni visibili e tangibili di un amore concreto che fino ad oggi possiamo toccare con mano.

7. «L’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via» (ibid., 195) è una scelta prioritaria che i discepoli di Cristo sono chiamati a perseguire per non tradire la credibilità della Chiesa e donare speranza fattiva a tanti indifesi. La carità cristiana trova in essi la sua verifica, perché chi compatisce le loro sofferenze con l’amore di Cristo riceve forza e conferisce vigore all’annuncio del Vangelo.

L’impegno dei cristiani, in occasione di questa Giornata Mondiale e soprattutto nella vita ordinaria di ogni giorno, non consiste solo in iniziative di assistenza che, pur lodevoli e necessarie, devono mirare ad accrescere in ognuno l’attenzione piena che è dovuta ad ogni persona che si trova nel disagio. «Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione» (ibid., 199) per i poveri nella ricerca del loro vero bene. Non è facile essere testimoni della speranza cristiana nel contesto della cultura consumistica e dello scarto, sempre tesa ad accrescere un benessere superficiale ed effimero. È necessario un cambiamento di mentalità per riscoprire l’essenziale e dare corpo e incisività all’annuncio del regno di Dio.

La speranza si comunica anche attraverso la consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un atto di amore gratuito che non cerca ricompensa.

8. A tanti volontari, ai quali va spesso il merito di aver intuito per primi l’importanza di questa attenzione ai poveri, chiedo di crescere nella loro dedizione. Cari fratelli e sorelle, vi esorto a cercare in ogni povero che incontrate ciò di cui ha veramente bisogno; a non fermarvi alla prima necessità materiale, ma a scoprire la bontà che si nasconde nel loro cuore, facendovi attenti alla loro cultura e ai loro modi di esprimersi, per poter iniziare un vero dialogo fraterno. Mettiamo da parte le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche, fissiamo lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole, ma di uno sguardo di amore e di una mano tesa. Non dimenticate mai che «la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale» (ibid., 200).

I poveri prima di tutto hanno bisogno di Dio, del suo amore reso visibile da persone sante che vivono accanto a loro, le quali nella semplicità della loro vita esprimono e fanno emergere la forza dell’amore cristiano. Dio si serve di tante strade e di infiniti strumenti per raggiungere il cuore delle persone. Certo, i poveri si avvicinano a noi anche perché stiamo distribuendo loro il cibo, ma ciò di cui hanno veramente bisogno va oltre il piatto caldo o il panino che offriamo. I poveri hanno bisogno delle nostre mani per essere risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore dell’affetto, della nostra presenza per superare la solitudine. Hanno bisogno di amore, semplicemente.

9. A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere,  ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo.

Agli occhi del mondo appare irragionevole pensare che la povertà e l’indigenza possano avere una forza salvifica; eppure, è quanto insegna l’Apostolo quando dice: «Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1 Cor 1,26-29). Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all’opera e la si sperimenta in prima persona. Nel cuore del Popolo di Dio in cammino pulsa questa forza salvifica che non esclude nessuno e tutti coinvolge in un reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e amarli.

10. Il Signore non abbandona chi lo cerca e quanti lo invocano; «non dimentica il grido dei poveri» (Sal 9,13), perché le sue orecchie sono attente alla loro voce. La speranza del povero sfida le varie condizioni di morte, perché egli sa di essere particolarmente amato da Dio e così vince sulla sofferenza e l’esclusione. La sua condizione di povertà non gli toglie la dignità che ha ricevuto dal Creatore; egli vive nella certezza che gli sarà restituita pienamente da Dio stesso, il quale non è indifferente alla sorte dei suoi figli più deboli, al contrario, vede i loro affanni e dolori e li prende nelle sue mani, e dà loro forza e coraggio (cfr Sal 10,14). La speranza del povero si fa forte della certezza di essere accolto dal Signore, di trovare in lui giustizia vera, di essere rafforzato nel cuore per continuare ad amare (cfr Sal 10,17).

La condizione che è posta ai discepoli del Signore Gesù, per essere coerenti evangelizzatori, è di seminare segni tangibili di speranza. A tutte le comunità cristiane e a quanti sentono l’esigenza di portare speranza e conforto ai poveri, chiedo di impegnarsi perché questa Giornata Mondiale possa rafforzare in tanti la volontà di collaborare fattivamente affinché nessuno si senta privo della vicinanza e della solidarietà. Ci accompagnino le parole del profeta che annuncia un futuro diverso: «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20).

Dal Vaticano, 13 giugno 2019

Memoria liturgica di S. Antonio di Padova

Francesco

 

 



 2018 11 18 seconda giornata mondiale dei poveri

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

II GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
18 novembre 2018

Questo povero grida e il Signore lo ascolta

1. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Le parole del Salmista diventano anche le nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di “poveri”. Chi scrive quelle parole non è estraneo a questa condizione, al contrario. Egli fa esperienza diretta della povertà e, tuttavia, la trasforma in un canto di lode e di ringraziamento al Signore. Questo Salmo permette oggi anche a noi, immersi in tante forme di povertà, di comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità.

Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza, dalla solitudine e dall’esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore. Ciò che emerge da questa preghiera è anzitutto il sentimento di abbandono e fiducia in un Padre che ascolta e accoglie. Sulla lunghezza d’onda di queste parole possiamo comprendere più a fondo quanto Gesù ha proclamato con la beatitudine «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).

In forza di questa esperienza unica e, per molti versi, immeritata e impossibile da esprimere appieno, si sente comunque il desiderio di comunicarla ad altri, prima di tutto a quanti sono, come il Salmista, poveri, rifiutati ed emarginati. Nessuno, infatti, può sentirsi escluso dall’amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi.

2. Il Salmo caratterizza con tre verbi l’atteggiamento del povero e il suo rapporto con Dio. Anzitutto, “gridare”. La condizione di povertà non si esaurisce in una parola, ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? In una Giornata come questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero capaci di ascoltare i poveri.

E’ il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce. Se parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Spesso, ho timore che tante iniziative pur meritevoli e necessarie, siano rivolte più a compiacere noi stessi che a recepire davvero il grido del povero. In tal caso, nel momento in cui i poveri fanno udire il loro grido, la reazione non è coerente, non è in grado di entrare in sintonia con la loro condizione. Si è talmente intrappolati in una cultura che obbliga a guardarsi allo specchio e ad accudire oltremisura sé stessi, da ritenere che un gesto di altruismo possa bastare a rendere soddisfatti, senza lasciarsi compromettere direttamente.

3. Un secondo verbo è “rispondere”. Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia della salvezza, è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero. E’ stato così quando Abramo esprimeva a Dio il suo desiderio di avere una discendenza, nonostante lui e la moglie Sara, ormai anziani, non avessero figli (cfr Gen 15,1-6). E’ accaduto quando Mosè, attraverso il fuoco di un roveto che bruciava intatto, ha ricevuto la rivelazione del nome divino e la missione di far uscire il popolo dall’Egitto (cfr Es 3,1-15). E questa risposta si è confermata lungo tutto il cammino del popolo nel deserto: quando sentiva i morsi della fame e della sete (cfr Es 16,1-16; 17,1-7), e quando cadeva nella miseria peggiore, cioè l’infedeltà all’alleanza e l’idolatria (cfr Es 32,1-14).

La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare altrettanto nei limiti dell’umano. La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto. Probabilmente, è come una goccia d’acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in un primo momento –, ma richiede quella «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199) che onora l’altro in quanto persona e cerca il suo bene.

4. Un terzo verbo è “liberare”. Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia. Mali antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali drammatiche. L’azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene spezzata dalla potenza dell’intervento di Dio. Tanti Salmi narrano e celebrano questa storia della salvezza che trova riscontro nella vita personale del povero: «Egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,25). Poter contemplare il volto di Dio è segno della sua amicizia, della sua vicinanza, della sua salvezza. «Hai guardato alla mia miseria, hai conosciute le angosce della mia vita; […] hai posto i miei piedi in un luogo spazioso» (Sal 31,8-9). Offrire al povero un “luogo spazioso” equivale a liberarlo dal “laccio del predatore” (cfr Sal 91,3), a toglierlo dalla trappola tesa sul suo cammino, perché possa camminare spedito e guardare la vita con occhi sereni. La salvezza di Dio prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e permette di sentire l’amicizia di cui ha bisogno. E’ a partire da questa vicinanza concreta e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 187).

5. E’ per me motivo di commozione sapere che tanti poveri si sono identificati con Bartimeo, del quale parla l’evangelista Marco (cfr 10,46-52). Il cieco Bartimeo «sedeva lungo la strada a mendicare» (v. 46), e avendo sentito che passava Gesù «cominciò a gridare» e a invocare il «Figlio di Davide» perché avesse pietà di lui (cfr v. 47). «Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte» (v. 48). Il Figlio di Dio ascoltò il suo grido: «“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”» (v. 51). Questa pagina del Vangelo rende visibile quanto il Salmo annunciava come promessa. Bartimeo è un povero che si ritrova privo di capacità fondamentali, quali il vedere e il lavorare. Quanti percorsi anche oggi conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’umanità… Come Bartimeo, quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro condizione! Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su come ne possono uscire! Attendono che qualcuno si avvicini loro e dica: «Coraggio! Alzati, ti chiama!» (v. 49).

Purtroppo si verifica spesso che, al contrario, le voci che si sentono sono quelle del rimprovero e dell’invito a tacere e a subire. Sono voci stonate, spesso determinate da una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti, ma anche come gente portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e, pertanto, da respingere e tenere lontani. Si tende a creare distanza tra sé e loro e non ci si rende conto che in questo modo ci si rende distanti dal Signore Gesù, che non li respinge ma li chiama a sé e li consola. Come risuonano appropriate in questo caso le parole del profeta sullo stile di vita del credente: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo […] dividere il pane con l’affamato, […] introdurre in casa i miseri, senza tetto, […] vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7). Questo modo di agire permette che il peccato sia perdonato (cfr 1 Pt 4,8), che la giustizia percorra la sua strada e che, quando saremo noi a gridare verso il Signore, allora Egli risponderà e dirà: eccomi! (cfr Is 58,9).

6. I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. Dio rimane fedele alla sua promessa, e anche nel buio della notte non fa mancare il calore del suo amore e della sua consolazione. Tuttavia, per superare l’opprimente condizione di povertà, è necessario che essi percepiscano la presenza dei fratelli e delle sorelle che si preoccupano di loro e che, aprendo la porta del cuore e della vita, li fanno sentire amici e famigliari. Solo in questo modo possiamo scoprire «la forza salvifica delle loro esistenze» e «porle al centro della vita della Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198).

In questa Giornata Mondiale siamo invitati a dare concretezza alle parole del Salmo: «I poveri mangeranno e saranno saziati» (Sal 22,27). Sappiamo che nel tempio di Gerusalemme, dopo il rito del sacrificio, avveniva il banchetto. In molte Diocesi, questa è stata un’esperienza che, lo scorso anno, ha arricchito la celebrazione della prima Giornata Mondiale dei Poveri. Molti hanno trovato il calore di una casa, la gioia di un pasto festivo e la solidarietà di quanti hanno voluto condividere la mensa in maniera semplice e fraterna. Vorrei che anche quest’anno e in avvenire questa Giornata fosse celebrata all’insegna della gioia per la ritrovata capacità di stare insieme. Pregare insieme in comunità e condividere il pasto nel giorno della domenica. Un’esperienza che ci riporta alla prima comunità cristiana, che l’evangelista Luca descrive in tutta la sua originalità e semplicità: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. […] Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,42.44-45).

7. Sono innumerevoli le iniziative che ogni giorno la comunità cristiana intraprende per dare un segno di vicinanza e di sollievo alle tante forme di povertà che sono sotto i nostri occhi. Spesso la collaborazione con altre realtà, che sono mosse non dalla fede ma dalla solidarietà umana, riesce a portare un aiuto che da soli non potremmo realizzare. Riconoscere che, nell’immenso mondo della povertà, anche il nostro intervento è limitato, debole e insufficiente conduce a tendere le mani verso altri, perché la collaborazione reciproca possa raggiungere l’obiettivo in maniera più efficace. Siamo mossi dalla fede e dall’imperativo della carità, ma sappiamo riconoscere altre forme di aiuto e solidarietà che si prefiggono in parte gli stessi obiettivi; purché non trascuriamo quello che ci è proprio, cioè condurre tutti a Dio e alla santità. Il dialogo tra le diverse esperienze e l’umiltà di prestare la nostra collaborazione, senza protagonismi di sorta, è una risposta adeguata e pienamente evangelica che possiamo realizzare.

Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri. Chi si pone al servizio è strumento nelle mani di Dio per far riconoscere la sua presenza e la sua salvezza. Lo ricorda San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, che gareggiavano tra loro nei carismi ricercando i più prestigiosi: «Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”» (1 Cor 12,21). L’Apostolo fa una considerazione importante osservando che le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie (cfr v. 22); e che quelle che «riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno» (vv. 23-24). Mentre dà un insegnamento fondamentale sui carismi, Paolo educa anche la comunità all’atteggiamento evangelico nei confronti dei suoi membri più deboli e bisognosi. Lungi dai discepoli di Cristo sentimenti di disprezzo e di pietismo verso di essi; piuttosto sono chiamati a rendere loro onore, a dare loro la precedenza, convinti che sono una presenza reale di Gesù in mezzo a noi. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

8. Qui si comprende quanto sia distante il nostro modo di vivere da quello del mondo, che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna. Le parole dell’Apostolo sono un invito a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e meno dotate del corpo di Cristo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ideale a cui tendere con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).

9. Una parola di speranza diventa l’epilogo naturale a cui la fede indirizza. Spesso sono proprio i poveri a mettere in crisi la nostra indifferenza, figlia di una visione della vita troppo immanente e legata al presente. Il grido del povero è anche un grido di speranza con cui manifesta la certezza di essere liberato. La speranza fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a Lui (cfr Rm 8,31-39). Scriveva santa Teresa d’Avila nel suo Cammino di perfezione: «La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare» (2, 5). E’ nella misura in cui siamo capaci di discernere il vero bene che diventiamo ricchi davanti a Dio e saggi davanti a noi stessi e agli altri. E’ proprio così: nella misura in cui si riesce a dare il giusto e vero senso alla ricchezza, si cresce in umanità e si diventa capaci di condivisione.

10. Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At 6,1-7), insieme alle persone consacrate e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene.

Dal Vaticano, 13 giugno 2018

Memoria liturgica di S. Antonio da Padova

Francesco

 

 

 



2017 11 19 prima giornata mondiale dei poveri bis

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
19 novembre 2017

Non amiamo a parole ma con i fatti

1. «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio, d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la propria vita (cfr 1 Gv 3,16).

Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale, senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In tal modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le sorelle che si trovano in necessità.

2. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Da sempre la Chiesa ha compreso l’importanza di un tale grido. Possediamo una grande testimonianza fin dalle prime pagine degli Atti degli Apostoli, là dove Pietro chiede di scegliere sette uomini «pieni di Spirito e di sapienza» (6,3) perché assumessero il servizio dell’assistenza ai poveri. È certamente questo uno dei primi segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il servizio ai più poveri. Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli di Gesù doveva esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento principale del Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3).

«Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,45). Questa espressione mostra con evidenza la viva preoccupazione dei primi cristiani. L’evangelista Luca, l’autore sacro che più di ogni altro ha dato spazio alla misericordia, non fa nessuna retorica quando descrive la prassi di condivisione della prima comunità. Al contrario, raccontandola intende parlare ai credenti di ogni generazione, e quindi anche a noi, per sostenerci nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei più bisognosi. Lo stesso insegnamento viene dato con altrettanta convinzione dall’apostolo Giacomo, che, nella sua Lettera, usa espressioni forti ed incisive: «Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? [...] A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (2,5-6.14-17).

3. Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui i cristiani non hanno ascoltato fino in fondo questo appello, lasciandosi contagiare dalla mentalità mondana. Ma lo Spirito Santo non ha mancato di richiamarli a tenere fisso lo sguardo sull’essenziale. Ha fatto sorgere, infatti, uomini e donne che in diversi modi hanno offerto la loro vita a servizio dei poveri. Quante pagine di storia, in questi duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri!

Tra tutti spicca l’esempio di Francesco d’Assisi, che è stato seguito da numerosi altri uomini e donne santi nel corso dei secoli. Egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro. Lui stesso vide in questo incontro la svolta della sua conversione: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo» (Test 1-3: FF 110). Questa testimonianza manifesta la forza trasformatrice della carità e lo stile di vita dei cristiani.

Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Sempre attuali risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità» (Hom. in Matthaeum, 50, 3: PG 58).

Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce.

4. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà significa un cuore umile che sa accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa, è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli affetti (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 25-45).

Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli, proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se, pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che portano impresso nella loro vita.

5. Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco impietoso e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!

Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati. Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova visione della vita e della società.

Tutti questi poveri – come amava dire il Beato Paolo VI – appartengono alla Chiesa per «diritto evangelico» (Discorso di apertura della II sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29 settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro. Benedette, pertanto, le mani che si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la benedizione di Dio.

6. Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale dei Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi. Alle altre Giornate mondiali istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità, desidero che si aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri.

Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. Questa Giornata intende stimolare in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione.

7. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario, si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto. Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa domenica, in modo tale che risulti ancora più autentica la celebrazione della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti, emerge in tutto il suo significato proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce, povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi completamente al Padre, mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la potenza di questo Amore, che lo risuscita a vita nuova nel giorno di Pasqua.

In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), accogliamoli come ospiti privilegiati alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più coerente. Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre.

8. A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita. Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di insegnare loro a pregare, Egli ha risposto con le parole dei poveri che si rivolgono all’unico Padre in cui tutti si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al plurale: il pane che si chiede è “nostro”, e ciò comporta condivisione, partecipazione e responsabilità comune. In questa preghiera tutti riconosciamo l’esigenza di superare ogni forma di egoismo per accedere alla gioia dell’accoglienza reciproca.

9. Chiedo ai confratelli vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi – che per vocazione hanno la missione del sostegno ai poveri –, alle persone consacrate, alle associazioni, ai movimenti e al vasto mondo del volontariato di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo.

Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.

Dal Vaticano, 13 giugno 2017

Memoria di Sant’Antonio di Padova

Francesco

 

 

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