Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
21 aprile 2024 : 61^
«Creare casa» (Christus vivit, 217)
La tematica che l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni propone in vista della 61a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che si celebrerà la quarta domenica di Pasqua, il 21 aprile 2024 intende cogliere l’invito di Papa Francesco a creare ambienti adeguati nei quali sperimentare il miracolo di una nuova nascita: «in tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più la nostra capacità di accoglienza cordiale […], le comunità come la parrocchia e la scuola dovrebbero offrire percorsi di amore gratuito e promozione, di affermazione e di crescita […].
Quanto sradicamento! Se i giovani sono cresciuti in un mondo di ceneri, non è facile per loro sostenere il fuoco di grandi desideri e progetti. Se sono cresciuti in un deserto vuoto di significato, come potranno aver voglia di sacrificarsi per seminare?
L’esperienza di discontinuità, di sradicamento e la caduta delle certezze di base, favorita dall’odierna cultura mediatica, provocano quella sensazione di orfanezza alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso. Fare ‘casa’ […] è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici e funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana. Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere […]. Così si attua il miracolo di sperimentare che qui si nasce di nuovo […] perché sentiamo efficace la carezza di Dio che ci rende possibile sognare il mondo più umano e, perciò, più divino» (Cf. Francesco, Christus vivit, 216-217).
L’invito conduce alle radici della fede e riporta agli inizi della Chiesa nella quale da subito i primi credenti si sono adoperati per creare spazi di condivisione della vita nei quali poter sperimentare «la gioia di una casa comune: una domus ecclesiae. Prima che di un edificio – già insegnava il card. Carlo Maria Martini all’inizio del Millennio – ci sia un contesto, un luogo permanente di incontro […] in cui si respiri uno stile di fraternità, di lavoro e di preghiera. Tutte le nostre comunità siano attente alle esigenze giovanili di vita comune, sapendo che i giovani, oggi più che mai, hanno bisogno di formazione intelligente e affettiva per appassionarsi al Signore, alla comunità cristiana e ai fermenti evangelici disseminati tra i loro coetanei nel mondo. La Parola di Dio ha bisogno di un terreno buono e l’Eucarestia ha bisogno di una casa» (C.M. Martini, Attraversava la città. Risposta al Sinodo dei Giovani, 23 marzo 2002).
Il Cammino Sinodale delle Chiese d’Italia delle Chiese d’Italia ci sta aiutando a riscoprire la gioia e la fatica del camminare insieme, il lavoro fattivo e concreto del costruire cantieri capaci di immaginare gli elementi fecondi già presenti nell’oggi e che dischiudono il futuro; invita, sull’icona dei discepoli di Emmaus, a riconoscere il passante che si fa prossimo nel cammino e ospitarlo in casa perché là si manifesti nel suo volto del Signore Risorto (cf. Lc 24,29).
Anche la vocazione ha bisogno di un terreno buono perché possa attecchire e di una casa nella quale fare Eucarestia, ringraziamento e benedizione per la Parola ricevuta e il dono di quella fraternità che è offerta della propria vita perché insieme agli altri diventi feconda nella carità, a servizio di tutti. Come la vita, ha bisogno di trovare uno spazio accogliente per nascere, crescere e maturare. Il desiderio di appartenere ad una persona o ad una comunità nasce da una frequentazione feriale e una conoscenza graduale di quella casa alla quale si sogna di appartenere per essere fecondi. Creare casa è un invito rivolto alle Chiese, alle comunità, alle parrocchie, ai presbitéri, alle famiglie, ai monasteri perché siano sempre più spazi capaci di quell’accoglienza cordiale e libera che fa crescere la vocazione sia di chi li abita che di chi li visita, diviene terreno fecondo di nuove vocazioni.
«Chi ha sete, venga!» (Ap 22,20)
L’immagine preparata è un’icona del Cristo che viene; anch’essa porta direttamente alla radice della vocazione cristiana e alla sorgente di ogni chiamata perché la vocazione è incontrare e riconoscere il Signore Risorto che abita i passi della propria storia. Tutta la Scrittura termina con un grido che racchiude una promessa: «Lo Spirito e la Sposa dicono: ‘Vieni!’. E chi ascolta, ripeta: ‘Vieni!’. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17). Se il nostro sguardo potesse attraversare il cielo, se potesse guardare attraverso la storia e i fatti della vita altro non vedrebbe che il Cristo che viene perché raggiungerci – venire verso di noi – è l’unica cosa che anch’egli ardentemente desidera; stare in nostra compagnia, fare casa con noi: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Intrattenersi con il Signore Risorto, parlare con lui come con un amico (cf. Concilio Vaticano II, Dei verbum, 3) è l’origine della vocazione che si può riconoscere nella Parola – sovente anche un solo versetto di tutta la Scrittura – che è il grembo della fede (cf. Rm 10,17) e il Principio di ogni cosa (cf. Gv 1,3). Qui è simboleggiata dalla raffigurazione dei quattro evangelisti che occupano gli angoli della tavola: Matteo (l’angelo), Giovanni (l’aquila), Marco (il leone) e Luca (il bue).
La fede e la vocazione – così come la vita e la realtà – hanno a che fare con un invisibile (cf. Eb 11,27) che contiene una promessa, quella della vita eterna (cf. 1Gv 2,25) che è la vita vera, la vita come dovrebbe essere, la vita che è semplicemente vita, semplicemente felicità (cf. Benedetto XVI, Spe salvi, 11). Il cerchio esterno con i cherubini e i serafini che fanno capolino dai lati del quadrato più interno simboleggia il mondo celeste e ricorda che tutta l’avventura della vita si svolge sotto il cielo ormai aperto (cf. At 7,56) dalla Pasqua di Cristo (cf. Gv 1,51). Cerchio e quadrato ricordano il movimento – immaginando di far ruotare il quadrato attorno al suo centro – iniziato nel Battesimo. Immersa nell’acqua del fonte la vita di terra (cf. 1Cor 15,47) ha cominciato a camminare verso la perfezione della carità che potrà essere ricevuta in dono solo nella Gerusalemme celeste ma che già può essere gustata in questo tempo, nella consapevolezza che solo l’amore vale la pena e la bellezza del vivere, l’unica cosa che rimane per sempre.
Intuire la propria vocazione è discernere il calore del divino – ha il volto di Cristo e il sapore dei suoi gesti – che traspare da ciò che è umano come il rosso delle vesti del Signore emerge dal blu che simboleggia la storia, è condividerne la Passione e spendere la vita nel suo amore: il volto di una persona che si accende di una luce particolare nella quale ci si riconosce chiamati come sposi, il mistero di una Chiesa che si desidera servire come ministri ordinati, una famiglia religiosa che chiama ad una appartenenza e ad una consacrazione particolare, una storia di relazioni quotidiane per il quale adoperarsi semplicemente con il lavoro delle proprie mani.
L’icona è stata realizzata anche in una copia stampata su legno così che possa diventare pellegrina nelle diocesi in occasione che volta per volta organizzeranno l’animazione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 61ª GIORNATA MONDIALE
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
[21 aprile 2024]
Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace
Cari fratelli e sorelle!
La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni ci invita, ogni anno, a considerare il dono prezioso della chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi, suo popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita. Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un’ideale religioso; è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo.
Così, questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano. E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio.
Ai giovani, specialmente a quanti si sentono lontani o nutrono diffidenza verso la Chiesa, vorrei dire: lasciatevi affascinare da Gesù, rivolgetegli le vostre domande importanti, attraverso le pagine del Vangelo, lasciatevi inquietare dalla sua presenza che sempre ci mette beneficamente in crisi. Egli rispetta più di ogni altro la nostra libertà, non si impone ma si propone: lasciategli spazio e troverete la vostra felicità nel seguirlo e, se ve lo chiederà, nel donarvi completamente a Lui.
Un popolo in cammino
La polifonia dei carismi e delle vocazioni, che la Comunità cristiana riconosce e accompagna, ci aiuta a comprendere pienamente la nostra identità di cristiani: come popolo di Dio in cammino per le strade del mondo, animati dallo Spirito Santo e inseriti come pietre vive nel Corpo di Cristo, ciascuno di noi si scopre membro di una grande famiglia, figlio del Padre e fratello e sorella dei suoi simili. Non siamo isole chiuse in sé stesse, ma siamo parti del tutto. Perciò, la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti.
Nel presente momento storico, poi, il cammino comune ci conduce verso l’Anno Giubilare del 2025. Camminiamo come pellegrini di speranza verso l’Anno Santo, perché nella riscoperta della propria vocazione e mettendo in relazione i diversi doni dello Spirito, possiamo essere nel mondo portatori e testimoni del sogno di Gesù: formare una sola famiglia, unita nell’amore di Dio e stretta nel vincolo della carità, della condivisione e della fraternità.
Questa Giornata è dedicata, in particolare, alla preghiera per invocare dal Padre il dono di sante vocazioni per l’edificazione del suo Regno: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). E la preghiera – lo sappiamo – è fatta più di ascolto che di parole rivolte a Dio. Il Signore parla al nostro cuore e vuole trovarlo aperto, sincero e generoso. La sua Parola si è fatta carne in Gesù Cristo, il quale ci rivela e ci comunica tutta la volontà del Padre. In quest’anno 2024, dedicato proprio alla preghiera in preparazione al Giubileo, siamo chiamati a riscoprire il dono inestimabile di poter dialogare con il Signore, da cuore a cuore, diventando così pellegrini di speranza, perché «la preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti. Io direi che la preghiera apre la porta alla speranza. La speranza c’è, ma con la mia preghiera apro la porta» (Catechesi, 20 maggio 2020).
Pellegrini di speranza e costruttori di pace
Ma cosa vuol dire essere pellegrini? Chi intraprende un pellegrinaggio cerca anzitutto di avere chiara la meta, e la porta sempre nel cuore e nella mente. Allo stesso tempo, però, per raggiungere quel traguardo, occorre concentrarsi sul passo presente, per affrontare il quale bisogna essere leggeri, spogliarsi dei pesi inutili, portare con sé l’essenziale e lottare ogni giorno perché la stanchezza, la paura, l’incertezza e le oscurità non blocchino il cammino intrapreso. Così, essere pellegrini significa ripartire ogni giorno, ricominciare sempre, ritrovare l’entusiasmo e la forza di percorrere le varie tappe del percorso che, nonostante le fatiche e le difficoltà, sempre aprono davanti a noi orizzonti nuovi e panorami sconosciuti.
Il senso del pellegrinaggio cristiano è proprio questo: siamo posti in cammino alla scoperta dell’amore di Dio e, nello stesso tempo, alla scoperta di noi stessi, attraverso un viaggio interiore ma sempre stimolato dalla molteplicità delle relazioni. Dunque, pellegrini perché chiamati: chiamati ad amare Dio e ad amarci gli uni gli altri. Così, il nostro camminare su questa terra non si risolve mai in un affaticarsi senza scopo o in un vagare senza meta; al contrario, ogni giorno, rispondendo alla nostra chiamata, cerchiamo di fare i passi possibili verso un mondo nuovo, dove si viva in pace, nella giustizia e nell’amore. Siamo pellegrini di speranza perché tendiamo verso un futuro migliore e ci impegniamo a costruirlo lungo il cammino.
Questo è, alla fine, lo scopo di ogni vocazione: diventare uomini e donne di speranza. Come singoli e come comunità, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo tutti chiamati a “dare corpo e cuore” alla speranza del Vangelo in un mondo segnato da sfide epocali: l’avanzare minaccioso di una terza guerra mondiale a pezzi; le folle di migranti che fuggono dalla loro terra alla ricerca di un futuro migliore; il costante aumento dei poveri; il pericolo di compromettere in modo irreversibile la salute del nostro pianeta. E a tutto ciò si aggiungono le difficoltà che incontriamo quotidianamente e che, a volte, rischiano di gettarci nella rassegnazione o nel disfattismo.
In questo nostro tempo, allora, è decisivo per noi cristiani coltivare uno sguardo pieno di speranza, per poter lavorare con frutto, rispondendo alla vocazione che ci è stata affidata, al servizio del Regno di Dio, Regno di amore, di giustizia e di pace. Questa speranza – ci assicura San Paolo – «non delude» (Rm 5,5), perché si tratta della promessa che il Signore Gesù ci ha fatto di restare sempre con noi e di coinvolgerci nell’opera di redenzione che Egli vuole compiere nel cuore di ogni persona e nel “cuore” del creato. Tale speranza trova il suo centro propulsore nella Risurrezione di Cristo, che «contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 276). Ancora l’apostolo Paolo afferma che «nella speranza» noi «siamo stati salvati» (Rm 8,24). La redenzione realizzata nella Pasqua dona la speranza, una speranza certa, affidabile, con la quale possiamo affrontare le sfide del presente.
Essere pellegrini di speranza e costruttori di pace, allora, significa fondare la propria esistenza sulla roccia della risurrezione di Cristo, sapendo che ogni nostro impegno, nella vocazione che abbiamo abbracciato e che portiamo avanti, non cade nel vuoto. Nonostante fallimenti e battute d’arresto, il bene che seminiamo cresce in modo silenzioso e niente può separarci dalla meta ultima: l’incontro con Cristo e la gioia di vivere nella fraternità tra di noi per l’eternità. Questa chiamata finale dobbiamo anticiparla ogni giorno: la relazione d’amore con Dio e con i fratelli e le sorelle inizia fin d’ora a realizzare il sogno di Dio, il sogno dell’unità, della pace e della fraternità. Nessuno si senta escluso da questa chiamata! Ciascuno di noi, nel suo piccolo, nel suo stato di vita può essere, con l’aiuto dello Spirito Santo, seminatore di speranza e di pace.
Il coraggio di mettersi in gioco
Per tutto questo dico, ancora una volta, come durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona: “Rise up! – Alzatevi!”. Svegliamoci dal sonno, usciamo dall’indifferenza, apriamo le sbarre della prigione in cui a volte ci siamo rinchiusi, perché ciascuno di noi possa scoprire la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo e diventare pellegrino di speranza e artefice di pace! Appassioniamoci alla vita e impegniamoci nella cura amorevole di coloro che ci stanno accanto e dell’ambiente che abitiamo. Ve lo ripeto: abbiate il coraggio di mettervi in gioco! Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità, sempre dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ripeteva che nessuno è così povero da non aver qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa.
Alziamoci, dunque, e mettiamoci in cammino come pellegrini di speranza, perché, come Maria fece con Santa Elisabetta, anche noi possiamo portare annunci di gioia, generare vita nuova ed essere artigiani di fraternità e di pace.
Roma, San Giovanni in Laterano, 21 aprile 2024, IV Domenica di Pasqua.
FRANCESCO
30 aprile 2023 : 60^
“Un meraviglioso poliedro”
Un meraviglioso poliedro: è questo il tema scelto dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale delle Vocazioni per la 60a Giornata Mondiale di Preghiera in programma domenica 30 aprile 2023. Un invito a mettersi alla ricerca di quel singolare annuncio di vita evangelica affidato a ognuna delle vocazioni, che sono a servizio le une delle altre.
“La pastorale non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un ‘camminare insieme’ che implica una valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri della Chiesa attraverso un dinamismo di corresponsabilità […]. In questo modo, imparando gli uni dagli altri, potremo riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo. Essa può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie”. (Francesco, Christus vivit, 206-207).
Questi doni dello Spirito si concretizzano in scelte vocazionali – la vita consacrata, il ministero ordinato, il matrimonio e il laicato vissuto a servizio del Vangelo -, vocazioni chiamate a conoscersi e a dialogare cogliendo la ricchezza reciproca, perché: “Questo è il mistero della Chiesa: nella convivialità delle differenze, essa è segno e strumento di ciò a cui l’intera umanità è chiamata. Per questo la Chiesa deve diventare sempre più sinodale: capace di camminare unita nell’armonia delle diversità, in cui tutti hanno un loro apporto da dare e possono partecipare attivamente» (Francesco, Messaggio per la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, Roma 8 maggio 2022).
Preghiera
Padre buono, datore della vita,
il creato, il tempo, la storia ci parlano di Te,
del tuo amore e della tua passione per ognuno di noi.
A Te che ci hai chiamati fin dal seno materno,
seminando in noi desideri grandi
di felicità e di pienezza, chiediamo:
manda il tuo Spirito
a illuminare gli occhi del nostro cuore
perché possiamo riconoscere e valorizzare tutto il bene
che hai regalato alla nostra vita.
Fa’ che ci lasciamo attraversare dalla tua luce
perché dalla tua Chiesa si riverberino
i colori della tua bellezza
e ognuno di noi,
rispondendo alla propria vocazione,
partecipi dell’opera meravigliosa e multiforme
che vuoi compiere nella storia.
Te lo chiediamo in Cristo Gesù,
tuo figlio e nostro Signore.
Amen.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 60ª GIORNATA MONDIALE
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
Vocazione: grazia e missione
Cari fratelli e sorelle, carissimi giovani!
È la sessantesima volta che si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, istituita da San Paolo VI nel 1964, durante il Concilio Ecumenico Vaticano II. Questa iniziativa provvidenziale si propone di aiutare i membri del Popolo di Dio, personalmente e in comunità, a rispondere alla chiamata e alla missione che il Signore affida ad ognuno nel mondo di oggi, con le sue ferite e le sue speranze, le sue sfide e le sue conquiste.
Quest’anno vi propongo di riflettere e pregare guidati dal tema “Vocazione: grazia e missione”. È un’occasione preziosa per riscoprire con stupore che la chiamata del Signore è grazia, è dono gratuito, e nello stesso tempo è impegno ad andare, a uscire per portare il Vangelo. Siamo chiamati alla fede testimoniale, che stringe fortemente il legame tra la vita della grazia, attraverso i Sacramenti e la comunione ecclesiale, e l’apostolato nel mondo. Animato dallo Spirito, il cristiano si lascia interpellare dalle periferie esistenziali ed è sensibile ai drammi umani, avendo sempre ben presente che la missione è opera di Dio e non si realizza da soli, ma nella comunione ecclesiale, insieme ai fratelli e alle sorelle, guidati dai Pastori. Perché questo è da sempre e per sempre il sogno di Dio: che viviamo con Lui in comunione d’amore.
«Scelti prima della creazione del mondo»
L’apostolo Paolo spalanca davanti a noi un orizzonte meraviglioso: in Cristo, Dio Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà» (Ef l,4-5). Sono parole che ci permettono di vedere la vita nel suo senso pieno: Dio ci “concepisce” a sua immagine e somiglianza e ci vuole suoi figli: siamo stati creati dall’Amore, per amore e con amore, e siamo fatti per amare.
Nel corso della nostra vita, questa chiamata, inscritta dentro le fibre del nostro essere e portatrice del segreto della felicità, ci raggiunge, per l’azione dello Spirito Santo, in maniera sempre nuova, illumina la nostra intelligenza, infonde vigore alla volontà, ci riempie di stupore e fa ardere il nostro cuore. A volte addirittura irrompe in modo inaspettato. È stato così per me il 21 settembre 1953 quando, mentre andavo all’annuale festa dello studente, ho sentito la spinta ad entrare in chiesa e a confessarmi. Quel giorno ha cambiato la mia vita e le ha dato un’impronta che dura fino a oggi. Però la chiamata divina al dono di sé si fa strada man mano, attraverso un cammino: a contatto con una situazione di povertà, in un momento di preghiera, grazie a una testimonianza limpida del Vangelo, a una lettura che ci apre la mente, quando ascoltiamo una Parola di Dio e la sentiamo rivolta proprio a noi, nel consiglio di un fratello o una sorella che ci accompagna, in un tempo di malattia o di lutto…La fantasia di Dio che ci chiama è infinita.
E la sua iniziativa e il suo dono gratuito attendono la nostra risposta. La vocazione è «l’intreccio tra scelta divina e libertà umana» [1], un rapporto dinamico e stimolante che ha per interlocutori Dio e il cuore umano. Così il dono della vocazione è come un seme divino che germoglia nel terreno della nostra vita, ci apre a Dio e ci apre agli altri per condividere con loro il tesoro trovato. Questa è la struttura fondamentale di ciò che intendiamo per vocazione: Dio chiama amando e noi, grati, rispondiamo amando. Ci scopriamo figli e figlie amati dallo stesso Padre e ci riconosciamo fratelli e sorelle tra noi. Santa Teresa di Gesù Bambino, quando “vide” finalmente con chiarezza questa realtà, esclamò: «La mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa […]. Nel cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l’amore» [2].
«Io sono una missione su questa terra»
La chiamata di Dio, come dicevamo, include l’invio. Non c’è vocazione senza missione. E non c’è felicità e piena realizzazione di sé senza offrire agli altri la vita nuova che abbiamo trovato. La chiamata divina all’amore è un’esperienza che non si può tacere. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!», esclamava San Paolo (1 Cor 9,16). E la Prima Lettera di Giovanni inizia così: “Quello che abbiamo udito, veduto, contemplato e toccato – cioè il Verbo fatto carne – noi lo annunciamo anche a voi perché la nostra gioia sia piena” (cfr 1,1-4).
Cinque anni fa, nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, mi rivolgevo così ad ogni battezzato e battezzata: «Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione» (n. 23). Sì, perché ognuno di noi, nessuno escluso, può dire: «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 273).
La missione comune a tutti noi cristiani è quella di testimoniare con gioia, in ogni situazione, con atteggiamenti e parole, ciò che sperimentiamo stando con Gesù e nella sua comunità che è la Chiesa. E si traduce in opere di misericordia materiale e spirituale, in uno stile di vita accogliente e mite, capace di vicinanza, compassione e tenerezza, controcorrente rispetto alla cultura dello scarto e dell’indifferenza. Farsi prossimo, come il buon samaritano (cfr Lc 10,25-37), permette di capire il “nocciolo” della vocazione cristiana: imitare Gesù Cristo che è venuto per servire e non per essere servito (cfr Mc 10,45).
Quest’azione missionaria non nasce semplicemente dalle nostre capacità, intenzioni o progetti, né dalla nostra volontà e neppure dal nostro sforzo di praticare le virtù, ma da una profonda esperienza con Gesù. Solo allora possiamo diventare testimoni di Qualcuno, di una Vita, e questo ci rende “apostoli”. Allora riconosciamo noi stessi «come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 273).
Icona evangelica di questa esperienza sono i due discepoli di Emmaus. Dopo l’incontro con Gesù risorto essi si confidano a vicenda: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» ( Lc 24,32). In loro possiamo vedere che cosa significhi avere “cuori ardenti e piedi in cammino” [3]. È quanto mi auguro anche per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, che attendo con gioia e che ha per motto: «Maria si alzò e andò in fretta» ( Lc 1,39). Che ognuno e ognuna si senta chiamato ad alzarsi e andare in fretta, con cuore ardente!
Chiamati insieme: convocati
L’evangelista Marco racconta il momento in cui Gesù chiamò a sé dodici discepoli, ciascuno col proprio nome. Li costituì perché stessero con lui e per inviarli a predicare, guarire le malattie e scacciare i demoni (cfr Mc 3,13-15). Il Signore pone così le basi della sua nuova Comunità. I Dodici erano persone di ambienti sociali e mestieri differenti, non appartenenti alle categorie più importanti. I Vangeli ci raccontano poi di altre chiamate, come quella dei settantadue discepoli che Gesù invia a due a due (cfr Lc 10,1).
La Chiesa è appunto Ekklesía, termine greco che significa: assemblea di persone chiamate, convocate, per formare la comunità dei discepoli e delle discepole missionari di Gesù Cristo, impegnati a vivere il suo amore tra loro (cfr Gv 13,34; 15,12) e a diffonderlo tra tutti, perché venga il Regno di Dio.
Nella Chiesa, siamo tutti servitori e servitrici, secondo diverse vocazioni, carismi e ministeri. La vocazione al dono di sé nell’amore, comune a tutti, si dispiega e si concretizza nella vita dei cristiani laici e laiche, impegnati a costruire la famiglia come piccola chiesa domestica e a rinnovare i vari ambienti della società con il lievito del Vangelo; nella testimonianza delle consacrate e dei consacrati, donati tutti a Dio per i fratelli e le sorelle come profezia del Regno di Dio; nei ministri ordinati (diaconi, presbiteri, vescovi) posti al servizio della Parola, della preghiera e della comunione del popolo santo di Dio. Solo nella relazione con tutte le altre, ogni specifica vocazione nella Chiesa viene alla luce pienamente con la propria verità e ricchezza. In questo senso, la Chiesa è una sinfonia vocazionale, con tutte le vocazioni unite e distinte in armonia e insieme “in uscita” per irradiare nel mondo la vita nuova del Regno di Dio.
Grazia e missione: dono e compito
Cari fratelli e sorelle, la vocazione è dono e compito, fonte di vita nuova e di vera gioia. Le iniziative di preghiera e di animazione legate a questa Giornata possano rafforzare la sensibilità vocazionale nelle nostre famiglie, nelle comunità parrocchiali e in quelle di vita consacrata, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Lo Spirito del Signore risorto ci scuota dall’apatia e ci doni simpatia ed empatia, per vivere ogni giorno rigenerati come figli di Dio Amore (cfr 1 Gv 4,16) ed essere a nostra volta generativi nell’amore: capaci di portare vita ovunque, specialmente là dove ci sono esclusione e sfruttamento, indigenza e morte.Così che si allarghino gli spazi dell’amore [4] e Dio regni sempre più in questo mondo.
Ci accompagni in questo cammino la preghiera composta da San Paolo VI per la I Giornata Mondiale delle Vocazioni, 11 aprile 1964:
«O Gesù, divino Pastore delle anime, che hai chiamato gli Apostoli per farne pescatori di uomini, attrai a te ancora anime ardenti e generose di giovani, per renderli tuoi seguaci e tuoi ministri; falli partecipi della tua sete di universale Redenzione, […] dischiudi loro gli orizzonti del mondo intero, […] affinché, rispondendo alla tua chiamata, prolunghino quaggiù la Tua missione, edifichino il Tuo Corpo mistico, che è la Chiesa, e siano “sale della terra”, “luce del mondo” (Mt 5,13)».
Vi accompagni e vi protegga la Vergine Maria. Con la mia benedizione.
Roma, San Giovanni in Laterano, 30 aprile 2023, IV Domenica di Pasqua.
FRANCESCO
[1] Documento finale della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2018), Giovani, fede e discernimento vocazionale , n. 78.
[2] Manoscritto B, scritto durante il suo ultimo ritiro (settembre 1896): Opere complete, Roma 1997, 223.
[3] Cfr Messaggio per la 97ª Giornata Missionaria Mondiale (6 gennaio 2023).
[4] « Dilatentur spatia caritatis»: Sant’Agostino, Sermo 69: PL 5, 440.441.
08 maggio 2022 : 59^
“Fare la storia” (FT, 116)
Dopo “Datevi al meglio della vita” (2020) e “La santificazione è un cammino comunitario da fare a due a due” (2021), con il titolo tratto dall’Esortazione apostolica di papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, l’annuale Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni intende mettere a fuoco l’orizzonte della vocazione come responsabilità.
Se la vocazione nasce dall’incontro personale con il Signore e la sua Parola riconosciuta come una promessa che non è mai solo ‘la mia’ ma si compie sempre insieme agli altri, c’è da riscoprire che la vocazione non è mai soltanto ‘per me’ ma sempre ‘per qualcun altro’, una risposta a delle urgenze profonde presenti nel mondo e nella Chiesa.
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Signore,
Dio del tempo e della storia,
Dio della vita e della bellezza,
Dio del sogno e della realtà,
ascoltaci, ti preghiamo:
insegnaci a tessere e intrecciare
trame e ricami d’amore,
profondi e veri
con Te e per Te,
con gli altri e per gli altri;
immergici nell’operosità delle tue mani
nella creatività dei tuoi pensieri,
nell’arte amorosa del tuo cuore
perché ogni vita annunci bellezza
e ogni bellezza parli di Te.
Regalaci il coraggio dell’inquietudine,
l’intrepido passo dei sognatori,
la felice concretezza dei piccoli
perché riconoscendo nella storia
la tua chiamata
viviamo con letizia
la nostra vocazione.
Amen.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 59ª GIORNATA MONDIALE
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
Chiamati a edificare la famiglia umana
Cari fratelli e sorelle!
Mentre in questo nostro tempo soffiano ancora i venti gelidi della guerra e della sopraffazione e assistiamo spesso a fenomeni di polarizzazione, come Chiesa abbiamo avviato un processo sinodale: sentiamo l’urgenza di camminare insieme coltivando le dimensioni dell’ascolto, della partecipazione e della condivisione. Insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà vogliamo contribuire a edificare la famiglia umana, a guarirne le ferite e a proiettarla verso un futuro migliore. In questa prospettiva, per la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, desidero riflettere con voi sull’ampio significato della “vocazione”, nel contesto di una Chiesa sinodale che si pone in ascolto di Dio e del mondo.
Chiamati a essere tutti protagonisti della missione
La sinodalità, il camminare insieme è una vocazione fondamentale per la Chiesa, e solo in questo orizzonte è possibile scoprire e valorizzare le diverse vocazioni, i carismi e i ministeri. Al tempo stesso, sappiamo che la Chiesa esiste per evangelizzare, uscendo da sé stessa e spargendo il seme del Vangelo nella storia. Pertanto, tale missione è possibile proprio mettendo in sinergia tutti gli ambiti pastorali e, prima ancora, coinvolgendo tutti i discepoli del Signore. Infatti, «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 120). Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi, e portare avanti la missione cristiana come unico Popolo di Dio, laici e pastori insieme. Tutta la Chiesa è comunità evangelizzatrice.
Chiamati a essere custodi gli uni degli altri e del creato
La parola “vocazione” non va intesa in senso restrittivo, riferendola solo a coloro che seguono il Signore sulla via di una particolare consacrazione. Tutti siamo chiamati a partecipare della missione di Cristo di riunire l’umanità dispersa e di riconciliarla con Dio. Più in generale, ogni persona umana, prima ancora di vivere l’incontro con Cristo e abbracciare la fede cristiana, riceve con il dono della vita una chiamata fondamentale: ciascuno di noi è una creatura voluta e amata da Dio, per la quale Egli ha avuto un pensiero unico e speciale, e questa scintilla divina, che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna, siamo chiamati a svilupparla nel corso della nostra vita, contribuendo a far crescere un’umanità animata dall’amore e dall’accoglienza reciproca. Siamo chiamati a essere custodi gli uni degli altri, a costruire legami di concordia e di condivisione, a curare le ferite del creato perché non venga distrutta la sua bellezza. Insomma, a diventare un’unica famiglia nella meravigliosa casa comune del creato, nell’armonica varietà dei suoi elementi. In questo senso ampio, non solo i singoli, ma anche i popoli, le comunità e le aggregazioni di vario genere hanno una “vocazione”.
Chiamati ad accogliere lo sguardo di Dio
In questa grande vocazione comune, si inserisce la chiamata più particolare che Dio ci rivolge, raggiungendo la nostra esistenza con il suo Amore e orientandola alla sua meta ultima, a una pienezza che supera persino la soglia della morte. Così Dio ha voluto guardare e guarda alla nostra vita.
Si attribuiscono a Michelangelo Buonarroti queste parole: «Ogni blocco di pietra ha al suo interno una statua ed è compito dello scultore scoprirla». Se questo può essere lo sguardo dell’artista, molto più Dio ci guarda così: in quella ragazza di Nazaret ha visto la Madre di Dio; nel pescatore Simone figlio di Giona ha visto Pietro, la roccia sulla quale edificare la sua Chiesa; nel pubblicano Levi ha ravvisato l’apostolo ed evangelista Matteo; in Saulo, duro persecutore dei cristiani, ha visto Paolo, l’apostolo delle genti. Sempre il suo sguardo d’amore ci raggiunge, ci tocca, ci libera e ci trasforma facendoci diventare persone nuove.
Questa è la dinamica di ogni vocazione: siamo raggiunti dallo sguardo di Dio, che ci chiama. La vocazione, come d’altronde la santità, non è un’esperienza straordinaria riservata a pochi. Come esiste la “santità della porta accanto” (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6-9), così anche la vocazione è per tutti, perché tutti sono guardati e chiamati da Dio.
Dice un proverbio dell’Estremo Oriente: «Un sapiente, guardando l’uovo, sa vedere l’aquila; guardando il seme intravvede un grande albero; guardando un peccatore sa intravvedere un santo». Così ci guarda Dio: in ciascuno di noi vede delle potenzialità, talvolta ignote a noi stessi, e durante tutta la nostra vita opera instancabilmente perché possiamo metterle a servizio del bene comune.
La vocazione nasce così, grazie all’arte del divino Scultore che, con le sue “mani” ci fa uscire da noi stessi, perché si stagli in noi quel capolavoro che siamo chiamati a essere. In particolare, la Parola di Dio, che ci libera dall’egocentrismo, è capace di purificarci, illuminarci e ricrearci. Mettiamoci allora in ascolto della Parola, per aprirci alla vocazione che Dio ci affida! E impariamo ad ascoltare anche i fratelli e le sorelle nella fede, perché nei loro consigli e nel loro esempio può nascondersi l’iniziativa di Dio, che ci indica strade sempre nuove da percorrere.
Chiamati a rispondere allo sguardo di Dio
Lo sguardo amorevole e creativo di Dio ci ha raggiunti in modo del tutto singolare in Gesù. Parlando del giovane ricco, l’evangelista Marco annota: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò» (10,21). Su ciascuno e ciascuna di noi si posa questo sguardo di Gesù pieno di amore. Fratelli e sorelle, lasciamoci toccare da questo sguardo e lasciamoci portare da Lui oltre noi stessi! E impariamo a guardarci anche l’un altro in modo che le persone con cui viviamo e che incontriamo – chiunque esse siano – possano sentirsi accolte e scoprire che c’è Qualcuno che le guarda con amore e le invita a sviluppare tutte le loro potenzialità.
La nostra vita cambia, quando accogliamo questo sguardo. Tutto diventa un dialogo vocazionale, tra noi e il Signore, ma anche tra noi e gli altri. Un dialogo che, vissuto in profondità, ci fa diventare sempre più quelli che siamo: nella vocazione al sacerdozio ordinato, per essere strumento della grazia e della misericordia di Cristo; nella vocazione alla vita consacrata, per essere lode di Dio e profezia di nuova umanità; nella vocazione al matrimonio, per essere dono reciproco e generatori ed educatori della vita. In generale, in ogni vocazione e ministero nella Chiesa, che ci chiama a guardare gli altri e il mondo con gli occhi di Dio, per servire il bene e diffondere l’amore, con le opere e con le parole.
Vorrei qui menzionare, al riguardo, l’esperienza del dott. José Gregorio Hernández Cisneros. Mentre lavorava come medico a Caracas in Venezuela, volle farsi terziario francescano. Più tardi, pensò di diventare monaco e sacerdote, ma la salute non glielo permise. Comprese allora che la sua chiamata era proprio la professione medica, nella quale egli si spese in particolare per i poveri. Allora, si dedicò senza riserve agli ammalati colpiti dall’epidemia di influenza detta “spagnola”, che allora dilagava nel mondo. Morì investito da un’automobile, mentre usciva da una farmacia dove aveva procurato medicine per una sua anziana paziente. Testimone esemplare di cosa vuol dire accogliere la chiamata del Signore e aderirvi in pienezza, è stato beatificato un anno fa.
Convocati per edificare un mondo fraterno
Come cristiani, siamo non solo chiamati, cioè interpellati ognuno personalmente da una vocazione, ma anche con-vocati. Siamo come le tessere di un mosaico, belle già se prese ad una ad una, ma che solo insieme compongono un’immagine. Brilliamo, ciascuno e ciascuna, come una stella nel cuore di Dio e nel firmamento dell’universo, ma siamo chiamati a comporre delle costellazioni che orientino e rischiarino il cammino dell’umanità, a partire dall’ambiente in cui viviamo. Questo è il mistero della Chiesa: nella convivialità delle differenze, essa è segno e strumento di ciò a cui l’intera umanità è chiamata. Per questo la Chiesa deve diventare sempre più sinodale: capace di camminare unita nell’armonia delle diversità, in cui tutti hanno un loro apporto da dare e possono partecipare attivamente.
Quando parliamo di “vocazione”, pertanto, si tratta non solo di scegliere questa o quella forma di vita, di votare la propria esistenza a un determinato ministero o di seguire il fascino del carisma di una famiglia religiosa o di un movimento o di una comunità ecclesiale; si tratta di realizzare il sogno di Dio, il grande disegno della fraternità che Gesù aveva nel cuore quando ha pregato il Padre: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Ogni vocazione nella Chiesa, e in senso ampio anche nella società, concorre a un obiettivo comune: far risuonare tra gli uomini e le donne quell’armonia dei molti e differenti doni che solo lo Spirito Santo sa realizzare. Sacerdoti, consacrate e consacrati, fedeli laici camminiamo e lavoriamo insieme, per testimoniare che una grande famiglia umana unita nell’amore non è un’utopia, ma è il progetto per il quale Dio ci ha creati.
Preghiamo, fratelli e sorelle, perché il Popolo di Dio, in mezzo alle vicende drammatiche della storia, risponda sempre più a questa chiamata. Invochiamo la luce dello Spirito Santo, affinché ciascuno e ciascuna di noi possa trovare il proprio posto e dare il meglio di sé in questo grande disegno!
Roma, San Giovanni in Laterano, 8 maggio 2022, IV Domenica di Pasqua.
FRANCESCO
25 aprile 2021 : 58^
“La santificazione è un cammino comunitario da fare a due a due”
Papa Francesco, Gaudete et exsultate, 141
Ti lodiamo Dio,
Padre buono,
perché hai voluto la vita dell'uno
legata alla vita dell'altro;
creandoci a tua immagine
hai depositato in noi questo anelito
alla comunione e alla condivisione:
ci hai fatti per Te e per andare con Te
ai fratelli e alle sorelle, dappertutto!
Ti lodiamo Dio,
Signore Gesù Cristo,
unico nostro Maestro, per esserti fatto figlio dell’uomo.
Ravviva in noi la consapevolezza di essere in Te
un popolo di figlie e figli, voluto, amato e scelto
per annunciare la benedizione del Padre verso tutti.
Ti lodiamo Dio,
Spirito Santo,
datore di vita,
perché in ognuno di noi fai vibrare la tua creatività.
Nella complessità di questo tempo
rendici pietre vive, costruttori di comunità,
di quel regno di santità e di bellezza dove ognuno,
con la sua particolare vocazione, partecipa
di quell'unica armonia che solo Tu puoi comporre.
Amen.
IL TEMA
La vocazione non è mai soltantomiama è sempre anchenostra: la santità, la vita è sempre spesainsieme a qualcuno. E questo è un elemento essenziale di ogni vocazione nella Chiesa. Proprio questa, infatti è l’originalità della vocazione cristiana: far coincidere il compimento della persona con la realizzazione della comunità.
L’immagine di Valerio Chiola rappresenta un’orchestra fatta di diversi componenti, di tutte le età perché la fatica e la bellezza della comunità è cercare l’armonia che fa emergere la comunione nella differenza. Ciascuno suona il proprio strumento musicale che significa il proprio contributo a servizio della comunità.
don Michele GianolaDirettore UNPV CEI
Don Federico: vi racconto la mia vocazioneda TV2000it
La mia vocazione alla clausura
Monache Agostiniane Monastero SS. Quattro Coronati da TV2000it
Un canto di speranzadelle Clarisse di Iglesias
Come rispondere alla vocazionevideo inedito di don Tonino Bello
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 58ª GIORNATA MONDIALE
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
San Giuseppe: il sogno della vocazione
Cari fratelli e sorelle!
Lo scorso 8 dicembre, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale, è iniziato lo speciale Anno a lui dedicato (cfr Decreto della Penitenzieria Apostolica, 8 dicembre 2020). Da parte mia, ho scritto la Lettera apostolica Patris corde, allo scopo di «accrescere l’amore verso questo grande Santo». Si tratta infatti di una figura straordinaria, al tempo stesso «tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi». San Giuseppe non strabiliava, non era dotato di carismi particolari, non appariva speciale agli occhi di chi lo incontrava. Non era famoso e nemmeno si faceva notare: i Vangeli non riportano nemmeno una sua parola. Eppure, attraverso la sua vita ordinaria, ha realizzato qualcosa di straordinario agli occhi di Dio.
Dio vede il cuore (cfr 1 Sam 16,7) e in San Giuseppe ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità. A questo tendono le vocazioni: a generare e rigenerare vite ogni giorno. Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze. Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze dovute anche alla pandemia, che ha originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita. San Giuseppe ci viene incontro con la sua mitezza, da Santo della porta accanto; al contempo la sua forte testimonianza può orientarci nel cammino.
San Giuseppe ci suggerisce tre parole-chiave per la vocazione di ciascuno. La prima è sogno. Tutti nella vita sognano di realizzarsi. Ed è giusto nutrire grandi attese, aspettative alte che traguardi effimeri – come il successo, il denaro e il divertimento – non riescono ad appagare. In effetti, se chiedessimo alle persone di esprimere in una sola parola il sogno della vita, non sarebbe difficile immaginare la risposta: “amore”. È l’amore a dare senso alla vita, perché ne rivela il mistero. La vita, infatti, si ha solo se si dà, si possiede davvero solo se si dona pienamente. San Giuseppe ha molto da dirci in proposito, perché, attraverso i sogni che Dio gli ha ispirato, ha fatto della sua esistenza un dono.
I Vangeli narrano quattro sogni (cfr Mt 1,20; 2,13.19.22). Erano chiamate divine, ma non furono facili da accogliere. Dopo ciascun sogno Giuseppe dovette cambiare i suoi piani e mettersi in gioco, sacrificando i propri progetti per assecondare quelli misteriosi di Dio. Egli si fidò fino in fondo. Possiamo però chiederci: “Che cos’era un sogno notturno per riporvi tanta fiducia?”. Per quanto anticamente vi si prestasse parecchia attenzione, era pur sempre poca cosa di fronte alla realtà concreta della vita. Eppure San Giuseppe si lasciò guidare dai sogni senza esitare. Perché? Perché il suo cuore era orientato a Dio, era già disposto verso di Lui. Al suo vigile “orecchio interiore” bastava un piccolo cenno per riconoscerne la voce. Ciò vale anche per le nostre chiamate: Dio non ama rivelarsi in modo spettacolare, forzando la nostra libertà. Egli ci trasmette i suoi progetti con mitezza; non ci folgora con visioni splendenti, ma si rivolge con delicatezza alla nostra interiorità, facendosi intimo a noi e parlandoci attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti. E così, come fece con San Giuseppe, ci propone traguardi alti e sorprendenti.
I sogni portarono infatti Giuseppe dentro avventure che mai avrebbe immaginato. Il primo ne destabilizzò il fidanzamento, ma lo rese padre del Messia; il secondo lo fece fuggire in Egitto, ma salvò la vita della sua famiglia. Dopo il terzo, che preannunciava il ritorno in patria, il quarto gli fece ancora cambiare i piani, riportandolo a Nazaret, proprio lì dove Gesù avrebbe iniziato l’annuncio del Regno di Dio. In tutti questi stravolgimenti il coraggio di seguire la volontà di Dio si rivelò dunque vincente. Così accade nella vocazione: la chiamata divina spinge sempre a uscire, a donarsi, ad andare oltre. Non c’è fede senza rischio. Solo abbandonandosi fiduciosamente alla grazia, mettendo da parte i propri programmi e le proprie comodità, si dice davvero “sì” a Dio. E ogni “sì” porta frutto, perché aderisce a un disegno più grande, di cui scorgiamo solo dei particolari, ma che l’Artista divino conosce e porta avanti, per fare di ogni vita un capolavoro. In questo senso San Giuseppe rappresenta un’icona esemplare dell’accoglienza dei progetti di Dio. La sua è però un’accoglienza attiva: mai rinunciatario o arrendevole, egli «non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo» (Lett. ap. Patris corde, 4). Possa egli aiutare tutti, soprattutto i giovani in discernimento, a realizzare i sogni di Dio per loro; possa egli ispirare l’intraprendenza coraggiosa di dire “sì” al Signore, che sempre sorprende e mai delude!
Una seconda parola segna l’itinerario di San Giuseppe e della vocazione: servizio. Dai Vangeli emerge come egli visse in tutto per gli altri e mai per sé stesso. Il Popolo santo di Dio lo chiama castissimo sposo, svelando con ciò la sua capacità di amare senza trattenere nulla per sé. Liberando l’amore da ogni possesso, si aprì infatti a un servizio ancora più fecondo: la sua cura amorevole ha attraversato le generazioni, la sua custodia premurosa lo ha reso patrono della Chiesa. È anche patrono della buona morte, lui che ha saputo incarnare il senso oblativo della vita. Il suo servizio e i suoi sacrifici sono stati possibili, però, solo perché sostenuti da un amore più grande: «Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione» (ibid., 7).
Il servizio, espressione concreta del dono di sé, non fu per San Giuseppe solo un alto ideale, ma divenne regola di vita quotidiana. Egli si diede da fare per trovare e adeguare un alloggio dove far nascere Gesù; si prodigò per difenderlo dalla furia di Erode organizzando un tempestivo viaggio in Egitto; fu lesto nel tornare a Gerusalemme alla ricerca di Gesù smarrito; mantenne la famiglia lavorando, anche in terra straniera. Si adattò, insomma, alle varie circostanze con l’atteggiamento di chi non si perde d’animo se la vita non va come vuole: con la disponibilità di chi vive per servire. Con questo spirito Giuseppe accolse i numerosi e spesso imprevisti viaggi della vita: da Nazaret a Betlemme per il censimento, poi in Egitto e ancora a Nazaret, e ogni anno a Gerusalemme, ben disposto ogni volta a venire incontro a circostanze nuove, senza lamentarsi di quel che capitava, pronto a dare una mano per aggiustare le situazioni. Si può dire che sia stato la mano protesa del Padre celeste verso il suo Figlio in terra. Non può dunque che essere modello per tutte le vocazioni, che a questo sono chiamate: a essere le mani operose del Padre per i suoi figli e le sue figlie.
Mi piace pensare allora a San Giuseppe, custode di Gesù e della Chiesa, come custode delle vocazioni. Dalla sua disponibilità a servire deriva infatti la sua cura nel custodire. «Si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre» (Mt 2,14), dice il Vangelo, segnalandone la prontezza e la dedizione per la famiglia. Non perse tempo ad arrovellarsi su ciò che non andava, per non sottrarne a chi gli era affidato. Questa cura attenta e premurosa è il segno di una vocazione riuscita. È la testimonianza di una vita toccata dall’amore di Dio. Che bell’esempio di vita cristiana offriamo quando non inseguiamo ostinatamente le nostre ambizioni e non ci lasciamo paralizzare dalle nostre nostalgie, ma ci prendiamo cura di quello che il Signore, mediante la Chiesa, ci affida! Allora Dio riversa il suo Spirito, la sua creatività, su di noi; e opera meraviglie, come in Giuseppe.
Oltre alla chiamata di Dio – che realizza i nostri sogni più grandi – e alla nostra risposta – che si attua nel servizio disponibile e nella cura premurosa –, c’è un terzo aspetto che attraversa la vita di San Giuseppe e la vocazione cristiana, scandendone la quotidianità: la fedeltà. Giuseppe è l’«uomo giusto» (Mt 1,19), che nel silenzio operoso di ogni giorno persevera nell’adesione a Dio e ai suoi piani. In un momento particolarmente difficile si mette a “considerare tutte le cose” (cfr v. 20). Medita, pondera: non si lascia dominare dalla fretta, non cede alla tentazione di prendere decisioni avventate, non asseconda l’istinto e non vive all’istante. Tutto coltiva nella pazienza. Sa che l’esistenza si edifica solo su una continua adesione alle grandi scelte. Ciò corrisponde alla laboriosità mansueta e costante con cui svolse l’umile mestiere di falegname (cfr Mt 13,55), per il quale non ispirò le cronache del tempo, ma la quotidianità di ogni padre, di ogni lavoratore, di ogni cristiano nei secoli. Perché la vocazione, come la vita, matura solo attraverso la fedeltà di ogni giorno.
Come si alimenta questa fedeltà? Alla luce della fedeltà di Dio. Le prime parole che San Giuseppe si sentì rivolgere in sogno furono l’invito a non avere paura, perché Dio è fedele alle sue promesse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20). Non temere: sono le parole che il Signore rivolge anche a te, cara sorella, e a te, caro fratello, quando, pur tra incertezze e titubanze, avverti come non più rimandabile il desiderio di donare la vita a Lui. Sono le parole che ti ripete quando, lì dove ti trovi, magari in mezzo a prove e incomprensioni, lotti per seguire ogni giorno la sua volontà. Sono le parole che riscopri quando, lungo il cammino della chiamata, ritorni al primo amore. Sono le parole che, come un ritornello, accompagnano chi dice sì a Dio con la vita come San Giuseppe: nella fedeltà di ogni giorno.
Questa fedeltà è il segreto della gioia. Nella casa di Nazaret, dice un inno liturgico, c’era «una limpida gioia». Era la gioia quotidiana e trasparente della semplicità, la gioia che prova chi custodisce ciò che conta: la vicinanza fedele a Dio e al prossimo. Come sarebbe bello se la stessa atmosfera semplice e radiosa, sobria e speranzosa, permeasse i nostri seminari, i nostri istituti religiosi, le nostre case parrocchiali! È la gioia che auguro a voi, fratelli e sorelle che con generosità avete fatto di Dio il sogno della vita, per servirlo nei fratelli e nelle sorelle che vi sono affidati, attraverso una fedeltà che è già di per sé testimonianza, in un’epoca segnata da scelte passeggere ed emozioni che svaniscono senza lasciare la gioia. San Giuseppe, custode delle vocazioni, vi accompagni con cuore di padre!
Roma, San Giovanni in Laterano, 19 marzo 2021, Solennità di San Giuseppe
Francesco